Le norme interne non possono essere utilizzate in modo strumentale dalle autorità amministrative per impedire l’esercizio del proprio credo religioso, anche in modo collettivo. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza depositata il 24 maggio nel caso Association de solidarité avec les Témoins de Jéhovah e altri (LES TEMOINS DE JEHOVAH), ha condannato la Turchia per violazione dell’articolo 9 della Convenzione europea che assicura la libertà di pensiero, coscienza e religione. Strasburgo ha chiarito che i limiti posti dalla legislazione nazionale in ordine alla costruzione di luoghi culto, inclusi nel piano urbanistico locale, incidono sulla libertà di religione in modo diretto, con un’evidente violazione di un diritto convenzionale fondamentale. E’ vero, infatti, che esiste un ampio margine di apprezzamento concesso agli Stati in materia urbanistica, ma ogni limitazione posta a una libertà fondamentale deve essere proporzionata rispetto al fine conseguito. A rivolgersi alla Corte alcuni predicatori responsabili della Congregazione dei testimoni di Geova della città di Mersin in Turchia, autorizzati a svolgere alcune celebrazioni del proprio culto in luoghi privati. In base a una legge nazionale, le autorità avevano impedito, successivamente, l’utilizzo dell’appartamento nel quale erano compiuti i riti e detto no alla costruzione di edifici di culto. Tra le varie motivazioni, esigenze di sicurezza e il mancato rispetto di alcune condizioni legislative che, di fatto, impedivano a piccole comunità di realizzare luoghi di celebrazione del proprio credo. Dopo vari ricorsi interni, la vicenda è approdata a Strasburgo che ha dato pienamente ragione ai ricorrenti. Prima di tutto, i giudici internazionali hanno chiarito che la libertà di manifestare il proprio credo e di compiere i riti connessi alla propria religione sono parte integrante dell’articolo 9. E’ evidente – osserva la Corte – che anche la mancanza di un luogo di culto per celebrare regolarmente il proprio credo è un’ingerenza che si riflette direttamente sulla libertà di religione, per la cui piena realizzazione ha un grande rilievo la possibilità di svolgere cerimonie in luoghi in cui i fedeli possono manifestare il proprio credo collettivamente. La normativa interna in discussione e la sua applicazione – osserva la Corte europea – di fatto impediscono a piccole comunità di poter rispettare le condizioni per costruire un luogo di culto. Di qui la constatazione dell’ingerenza che, pur perseguendo un fine in sé legittimo, come, tra gli altri, la sicurezza nazionale, è sproporzionata e non necessaria in una società democratica perché impedisce la pratica religiosa in locali appropriati, bloccando il pluralismo religioso. Tanto più che la legge interna consente alle autorità amministrative di imporre condizioni rigide e proibitive per l’esercizio di certi culti minoritari.
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