Marcia indietro della CEDU sulla fecondazione eterologa

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo spegne le speranze di tante coppie in lotta contro la sterilità e con gli ostacoli posti da legislazioni interne molto restrittive. Con la pronuncia depositata oggi, la Corte europea, attraverso il suo massimo organo giurisdizionale (S.H e altri contro Austria, ricorso n. 57813/00, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=81276631&skin=hudoc-en) ha ribaltato le conclusioni della Camera rese con sentenza del 1° aprile 2010  (n. 57813/00, si veda il post del 4 aprile 2010) e ha sostenuto che la scelta di uno Stato di proibire alcune tipologie di fecondazione eterologa non è contraria al diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8). Alla Corte europea  si erano rivolte due coppie con problemi di fertilità risolvibili solo ricorrendo alla fecondazione in vitro con donazione esterna di ovuli o sperma. La legge austriaca, al pari di quella italiana (n. 40/2004), vieta la fecondazione eterologa. La Corte costituzionale austriaca, investita della vicenda, aveva ritenuto il divieto compatibile con la Convenzione europea. Una conclusione del tutto ribaltata con la sentenza del 2010 a Strasburgo che non solo aveva condannato l’Austria, ma aveva stabilito principi applicabili in casi analoghi, facendo pendere l’ago della bilancia a favore del diritto delle coppie ad avere un figlio. Del tutto diverso lo scenario disegnato dalla Grande Camera alla quale si era rivolta l’Austria. Per la Grande Camera, infatti, gli Stati hanno, in questo settore, anche alla luce delle profonde differenze esistenti negli ordinamenti nazionali e nell’assenza di convenzioni internazionali, un ampio margine di apprezzamento e sono di fatto liberi di scegliere la propria legislazione interna. Detto questo, però, la Corte ha anche precisato che, in questo campo, nel quale il diritto è in continua evoluzione anche per i cambiamenti scientifici è necessario che gli Stati aggiornino la propria legislazione.

Anche la legge italiana n. 40/2004 è sotto i riflettori di Strasburgo, a seguito di un ricorso di una coppia che accusa l’Italia di aver violato l’articolo 8 della Convenzione europea a causa del divieto di screening di embrioni malgrado i rischi di una grave malattia genetica per il feto. Si veda il post del 27 giugno 2011.

 

No tags 1 Comment 0
1 Risposta

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *