Sulla nozione di professionista in caso di annunci di vendita su un sito internet è intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata il 4 ottobre nella causa C-105/17 (C-105-17). La vicenda al centro del rinvio pregiudiziale riguardava la denuncia di un acquirente che aveva acquistato un orologio da un sito internet mediante un contratto di vendita a distanza senza, però, che nell’annuncio fosse indicato il diritto di recedere dal contratto. Così, la Commissione per la tutela dei consumatori della Bulgaria, accertato che la venditrice dell’orologio, che aveva pubblicato 8 annunci per la vendita di alcuni prodotti sul sito, non aveva indicato alcune informazioni, aveva applicato una sanzione. Il Tribunale amministrativo, prima di decidere, si è rivolto alla Corte Ue per alcuni chiarimenti sull’articolo 2 della direttiva 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno (recepita anche in Italia con Dlgs n. 146 del 2 agosto 2007). Chiarito che la direttiva è applicabile solo se l’attività di vendita è svolta da un professionista, che è tale se la persona agisce “nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale”, la Corte ha specificato che la nozione di professionista è propria del diritto dell’Unione e che non è sufficiente il fine di lucro per qualificare una persona come tale. Meno chiara è stata la Corte sull’applicazione dei requisiti necessari per la qualificazione in contesti del tutto diversi da quelli tradizionali come il web e sulla precisa linea di demarcazione tra uso a fini professionali e utilizzo di internet a fini “amatoriali”. Per individuare correttamente il professionista – osserva la Corte – è necessario tener conto della “nozione, correlativa ma antinomica di “consumatore”, che designa ogni privato non impegnato in attività commerciali o professionali”. Nel caso di specie, escluso che il perseguimento di un lucro determini automaticamente la qualifica di professionista, la Corte ha anche stabilito che le condizioni indicate dall’Avvocato generale Maciej Szpunar nelle conclusioni depositate il 31 maggio 2018 non sono tassative o esaustive, rinviando così a una valutazione caso per caso e all’intervento dei giudici nazionali che, però, devono partire da quanto stabilito da Lussemburgo ossia dal fatto che la pluralità di vendite o il fine di lucro non sono in sé sufficienti a far passare una persona da privato a professionista, così come non lo è la pubblicazione, seppure ripetuta, di annunci di vendita su un sito internet. Di conseguenza, se chi procede alla vendita non può essere qualificato come professionista non si realizza una pratica commerciale e, quindi, non va applicata la direttiva 2005/29.
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