Per l’High Court i piani di esportazione dei richiedenti asilo sono conformi al diritto internazionale, ma in otto casi le decisioni del Ministro dell’interno vanno annullate

Dal “carico residuale” italiano all’esportazione di migranti, inclusi i richiedenti asilo, nel Regno Unito. Se governi e parlamenti nazionali dimenticano gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, in alcuni casi i giudici nazionali, che potrebbero arginare queste violazioni, non fanno meglio. E’ il caso dell’Alta Corte di giustizia inglese che, con la sentenza del 19 dicembre 2022, CO/20232022 e altri (Rwanda), ha dato il via libera a quella che tecnicamente, con una certa dose di falsità, è definita come “esternalizzazione delle procedure di asilo”. Sono stati otto richiedenti asilo (anche siriani) a rivolgersi alla High Court a seguito del provvedimento del Ministro dell’interno sul loro rientro in Rwanda, che avrebbe dovuto decidere sulle richieste di asilo. Sul punto la Corte ha valutato l’accordo con il Rwanda come compatibile con il diritto internazionale, ma con riguardo agli otto ricorrenti ha chiesto al Ministro dell’interno di rivalutare la situazione. In sostanza, i giudici non vedono alcuna violazione dei diritti umani nell’accordo che sposta la competenza sulla valutazione delle domande di asilo al Rwanda, considerato un Paese sicuro. Se il Ministero dell’interno decide che le domande di asilo sono inammissibili nel Regno Unito e ritiene che il richiedente possa presentare la domanda in un Paese terzo sicuro può procedere a una sostanziale espulsione. L’High Court prende atto del dibattito e dei contrasti provocati dalla normativa inglese e dalla sua applicazione che aveva portato a organizzare un volo per il Ruanda di richiedenti asilo arrivati nel Regno Unito. Ricostruito il quadro normativo e preso atto della richiesta di misure provvisorie da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’High Court considera di particolare rilievo che il Ruanda è parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951 e che il Paese ha adottato una politica di porte aperte anche nei confronti di molti individui che cercano rifugio da Paesi vicini come il Congo, posizione contestata dai ricorrenti secondo i quali non era affatto escluso il rischio di refoulement. L’High Court ha considerato rilevante, inoltre, che nel rapporto periodico del Consiglio per i diritti umani sul Ruanda non è stata messa in discussione l’applicazione generale della Convenzione sui rifugiati (anche se sono stati raccomandati alcuni interventi migliorativi) e ha analizzato anche il diritto Ue tenendo conto che diverse disposizioni sono rimaste in vigore a seguito dello European Union Withdrawal Act del 2018. Alla luce dell’esame svolto, l’High Court ha concluso che l’accordo con il Ruanda è conforme agli obblighi internazionali esistenti e al diritto interno, non ha accolto le tesi dei ricorrenti circa i rischi in Ruanda, ma ha consentito ai richiedenti la presentazione di un ricorso giurisdizionale a causa delle modalità con le quali, in relazione ad alcuni specifici casi, il Ministro dell’interno ha attuato l’accordo, annullando così i provvedimenti di espulsione in Ruanda.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/strasburgo-blocca-le-deportazioni-dei-migranti-decise-da-londra.html

 

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