Prima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’applicazione del criterio di ricevibilità del pregiudizio importante in materia penale

Per la prima volta, con una sentenza depositata oggi (Gagliano Giorgi contro Italia, ricorso n. 23563/07, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=902745&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649), la Corte europea dei diritti dell’uomo interviene a chiarire l’incidenza della condizione di ricevibilità del “pregiudizio importante” sui ricorsi relativi alla durata eccessiva dei processi penali. A Strasburgo si era rivolto un cittadino italiano che nel 1988 era stato accusato di estorsione in una vicenda riguardante il rilascio di permessi di soggiorno. Condannato, aveva presentato ricorso in Cassazione che aveva annullato la sentenza. Il procedimento era tornato in appello e poiché l’accusa principale era prescritta l’imputato era stato condannato solo a un anno per falsificazione di documenti. Ancora una volta, però, la Suprema Corte aveva annullato la sentenza perché i testi non erano stati convocati in modo regolare. Il procedimento era ripreso in appello: nuova condanna per falsificazione di documenti con sentenza confermata in Cassazione nel 1999. Il ricorrente si era poi rivolto alla Corte di appello di Brescia per ottenere un indennizzo in base alla legge Pinto. I giudici, pur ritenendo che il processo era durato troppo a lungo durante la prima fase del procedimento, non gli avevano concesso alcun indennizzo ritenendo altresì che in quanto condannato non ne aveva diritto. Una conclusione ribaltata dalla Cassazione secondo la quale l’esito negativo nel merito non incide sul diritto all’equa riparazione per la durata eccessiva del procedimento. I giudici di appello avevano negato ugualmente l’indennizzo perché non era stato dimostrato alcun danno. Anzi, la durata eccessiva del processo era giovata al ricorrente proprio perché alcuni reati erano prescritti. Di qui il ricorso a Strasburgo che, prima di tutto, ha ritenuto necessario verificare se sussistesse un pregiudizio importante del ricorrente. Considerando che la Corte di appello aveva dichiarato l’accusa principale prescritta e che il ricorrente aveva ottenuto una sensibile riduzione della pena poiché era stato condannato per un reato minore è da escludere l’esistenza di un pregiudizio rilevante proprio perché la riduzione di pena ha attenuato il danno che il ricorrente sosteneva di avere subito per la durata eccessiva del processo. Dichiarato il ricorso irricevibile sotto questo profilo anche perché il caso era stato debitamente esaminato dai giudici interni, la Corte è passata ad accertare l’eventuale violazione della durata ragionevole del processo con riguardo ai procedimenti relativi alla legge Pinto. E qui ha dato ragione al ricorrente perché il processo era durato 4 anni e 2 mesi. Un tempo eccessivo per un procedimento che deve rimediare ai danni subiti dalle vittime di processi troppo lunghi, che ha portato a una condanna dell’Italia per violazione dell’articolo 6 e al pagamento di 500 euro alla vittima per i danni non patrimoniali subiti.

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