Sanzioni penali per i giornalisti contrarie alla CEDU se non si commette hate speech

Non ci sono motivi di sicurezza nazionale che tengano se uno Stato parte alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo condanna un giornalista per aver pubblicato un articolo che contiene un’intervista a un membro di un’organizzazione illegale, senza alcuna forma di hate speech. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Belek e Veliogly contro Turchia depositata il 6 ottobre (AFFAIRE BELEK ET VELIOGLU c. TURQUIE) con la quale Strasburgo ha condannato Istanbul per violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura il diritto alla libertà di espressione. A rivolgersi alla Corte il proprietario e il redattore capo di un quotidiano di Istanbul. Il giornalista aveva pubblicato un articolo con la dichiarazione di un rappresentante curdo in cui si criticavano le condizioni di detenzione di Ocalan. Ora, poiché la legge turca vieta la pubblicazione di dichiarazioni di membri di un’organizzazione illegale armata, i due ricorrenti erano stati condannati al pagamento, rispettivamente, di 527 e 285 euro. Era stata poi vietata la pubblicazione del quotidiano per tre giorni, sanzione che era caduta per una modifica legislativa. Secondo la Corte, i giudici nazionali hanno violato la Convenzione perché non hanno considerato l’articolo nel suo insieme. Inoltre, ad avviso dei giudici internazionali, l’articolo non conteneva alcun appello all’uso della violenza, all’insurrezione e non conteneva alcun discorso d’odio. Di conseguenza, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione non era giustificata. La Corte ha così condannato lo Stato a pagare la cifra che i due giornalisti avevano dovuto versare e, come indennizzo per i danni non patrimoniali, 1.250 euro a ciascun ricorrente.

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