Sull’estradizione verso il Brasile interviene la Cassazione

Nessun obbligo di bloccare l’estradizione se le autorità italiane si sono limitate a promuovere una rogatoria per di più priva di risposta. In un simile caso, infatti, non si può ritenere che la persona della quale un altro Stato chiede l’estradizione sia sottoposta a un procedimento penale in Italia. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 386/17 depositata il 4 gennaio (386) con la quale la Suprema Corte ha respinto il ricorso di una donna che si opponeva all’estradizione decisa dalla Corte di appello di Venezia su richiesta del Brasile. In base al Trattato di estradizione tra Italia e Brasile del 17 ottobre 1989, in vigore dal 1° agosto 1993 e ratificato dall’Italia con legge 23 aprile 1991 n. 144, la Cassazione ritiene che la conclusione dei giudici di appello è stata corretta anche perché, alla luce dell’accordo, lo Stato richiesto non deve effettuare una valutazione dei gravi indizi di colpevolezza. Detto questo, la Corte precisa che, però, secondo la giurisprudenza consolidata, l’autorità giudiziaria “non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata”, dovendo accertare che risultino le ragioni  “per le quali è stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto della domanda”. Un esame che la Corte di appello ha effettuato. Inoltre, non si è verificata la condizione ostativa alla consegna determinata dalla circostanza che è in corso in Italia un procedimento penale, situazione che si verifica se è stata esercitata l’azione penale o se è stata emessa un’ordinanza applicativa della custodia cautelare. Così, l’ultima parola spetta al ministro della giustizia al quale compete decidere se azionare i motivi di rifiuto facoltativi, con particolare riguardo alla circostanza che il fatto sia stato commesso in tutto o in parte in Italia.

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