Il radicamento sul territorio dello Stato di esecuzione non può essere invocato, come motivo di non esecuzione di un mandato di arresto europeo, per la prima volta in Cassazione, non eccependo la questione dinanzi alla Corte di appello. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione feriale penale, con la sentenza n. 39862 depositata il 1° settembre (39862) con la quale è stato respinto il ricorso di un cittadino rumeno del quale la Romania aveva chiesto la consegna per far eseguire la sentenza in patria. La Suprema Corte prima di tutto ha chiarito che lo Stato rumeno offre adeguate garanzie per gli imputati, poi condannati, che dimostrano di non aver avuto conoscenza del processo. In secondo luogo, la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile in relazione al motivo del radicamento in Italia. Sul punto, i giudici hanno ricordato che la nozione di residenza ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di un altro Paese Ue in base all’articolo 18 della legge 22 aprile 2005 n. 69 di esecuzione della decisione quadro n. 2002/584 sul mandato di arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati membri, impone un accertamento sul radicamento “reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalità della sua presenza in Italia, dall’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale (anche se non esclusiva) e consolidata degli interessi lavorativi, familiari e affettivi”. Tuttavia, tale accertamento non era stato effettuato dai giudici di appello dinanzi ai quali il ricorrente non era comparso. Di conseguenza, la Corte ritiene inammissibile il ricorso perché l’accertamento del radicamento non è stato “preceduto da corrispondente deduzione proposta alla Corte di appello”. Infondato anche l’ultimo motivo di ricorso basato sul fatto che la sanzione per guida in stato di ebbrezza in Italia prevede sanzioni più miti. Questo perché – osserva la Cassazione – non è necessario che “lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento”.
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