Per chiarire la seconda parte dell’Accordo sul recesso del Regno Unito dall’Unione europea, dedicata a salvaguardare i diritti dei cittadini UE che soggiornano o lavorano nel Regno Unito e quelli che riguardano i cittadini del Regno Unito che soggiornano o lavorano nell’UE, entro la fine del periodo di transizione previsto dall’accordo, la Commissione europea ha pubblicato una nota informativa (brexit). Il documento non integra il contenuto dell’Accordo, ma è di particolare rilievo per i chiarimenti sui diritti riconosciuti nell’atto. Nella nota si chiarisce, ad esempio, la nozione di familiari “stretti” ripresa dall’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e quella di lavoratore subordinato e autonomo. Sul punto, la Commissione ha precisato che né il diritto primario né il diritto derivato contengono una definizione, ma la Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta a stabilire la nozione di lavoratore che deve essere applicata anche con riferimento all’Accordo (causa C-66/85, Lawrie-Blum e causa C-139/85, Kempf). E’ evidente che non è possibile applicare definizioni nazionali divergenti e, quindi, la nozione deve essere quella affermata da Lussemburgo. L’Accordo, inoltre, si applica “ai partner aventi una relazione stabile (persone che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2004/38/CE) con il titolare del diritto ma che soggiornavano al di fuori dello Stato ospitante alla fine del periodo di transizione”, con la precisazione che sono incluse “tutte le relazioni «stabili» di lunga durata, sia tra persone di sesso diverso che tra persone dello stesso sesso”, con il requisito della stabilità della relazione da valutare alla luce dell’obiettivo della direttiva di preservare l’unità della famiglia in senso ampio (cfr. il considerando 6 direttiva 2004/38/CE). La nota si occupa del diritto di soggiorno, dei documenti necessari per ottenerlo e delle possibilità di ricorso in caso di diniego. Ampio spazio, poi, alla questione del riconoscimento delle qualifiche professionali, con approfondimenti su taluni professionisti come gli avvocati. Sul punto, la Commissione ha precisato che “l’accordo tutela, per coloro che rientrano nell’ambito di applicazione personale, i diritti acquisiti in seguito alle decisioni che hanno permesso agli avvocati dell’UE o del Regno Unito di accedere alla professione di avvocato nello Stato ospitante o nello Stato sede di lavoro a norma dell’articolo 10, paragrafi 1 e 3, della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica”.
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