Se lo Stato non tutela le vittime di violenza domestica va riconosciuta la protezione internazionale

La violenza domestica rientra nei trattamenti inumani e degradanti e se uno Stato non offre un’adeguata protezione alla donna vittima, quest’ultima ha diritto a ottenere la protezione sussidiaria secondo quanto previsto dal Dlgs n. 251/2007 di attuazione della direttiva 2004/83 sulla qualifica di rifugiato e di persone bisognose di protezione internazionale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile – 1, con ordinanza  n. 12333/17 depositata il 17 maggio (12333). A rivolgersi alla Suprema Corte, una cittadina del Marocco la cui richiesta di protezione internazionale era stata respinta dalla Commissione territoriale competente, dal Tribunale di Vibo Valentia e dalla Corte di appello di Roma. La donna, vittima di abusi e violenze da parte del marito, punito con una lieve sanzione di 3 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena, contestava il diniego di riconoscimento anche perché la protezione delle autorità marocchine, nel suo caso così come in analoghe vicende, era insufficiente tanto più che in quel Paese non sono presenti misure ad hoc a tutela delle vittime. La Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo applicabile l’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica adottata a Istanbul l’11 maggio 2011 e in vigore dal 1° agosto 2014, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 2013. L’accordo internazionale qualifica come violenza domestica ogni atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica all’interno di un nucleo familiare e – osserva la Cassazione – questa violenza rientra nell’ambito dei trattamenti disumani e degradanti indicati dall’articolo 14, lett. b) del Dlgs 251/2007 come motivo di concessione della protezione sussidiaria. Di conseguenza, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se lo Stato marocchino avesse offerto un’adeguata protezione alla vittima. Un accertamento che è mancato. Di qui la cassazione con rinvio della pronuncia al Tribunale di Vibo Valentia.

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