Abbattimento del volo MH17, extraterritorialità e applicazione della Convenzione europea nel caso di conflitti armati: la Grande Camera si pronuncia sull’ammissibilità di ricorsi interstatali

L’Ucraina si assicura il primo round nei procedimenti avviati contro la Russia dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’abbattimento del volo MH17 della Malesia Airlines (in questo caso la decisione riguarda anche il ricorso dei Paesi Bassi) e ad altre violazioni perpetrate in Crimea. Con decisione del 25 gennaio 2023 nel caso Ucraina e Paesi Bassi contro Russia (ricorsi n. 8019/16, 43800/14 e 28525/20,UKRAINE AND THE NETHERLANDS v. RUSSIA), la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Russia aveva la giurisdizione sul territorio dell’Ucraina orientale occupata dall’11 maggio 2014. I ricorsi hanno al centro una serie di violazione dei diritti convenzionali nella zona della Crimea a danno di cittadini ucraini e l’abbattimento del volo, con 298 persone a bordo (nessun sopravvissuto), decollato da Amsterdam con destinazione Kuala Lumpur, mentre sorvolava le regioni occupate dai russi, con ogni probabilità colpito, come accertato anche dei giudici olandesi che, in via definitiva hanno condannato in absentia tre comandanti russi, da un missile terra-aria lanciato, il 17 luglio 2014, dalle forze separatiste filorusse. L’Ucraina e i Paesi Bassi hanno presentato il ricorso contro la Russia sostenendo che, in quel momento, a seguito dell’occupazione russa dei territori del Donetsk e del Lugansk e del supporto fornito ai separatisti ucraini, la responsabilità degli atti compiuti in quei luoghi era di Mosca. La Grande Camera, nella sua decisione fiume di 228 pagine, ha affrontato, in primo luogo, la questione centrale relativa alla giurisdizione sulle zone dell’Ucraina orientale prendendo atto che vi sono prove sufficienti per ritenere in questa fase il ricorso ammissibile sia con riguardo alle questioni prospettate dall’Ucraina sia con riferimento al ricorso dei Paesi Bassi. Strasburgo ha respinto la tesi russa secondo la quale la Corte non aveva giurisdizione perché Mosca non è più parte alla Convenzione: per Strasburgo, infatti, in base all’articolo 58 della Convenzione, la giurisdizione sussiste per gli atti compiuti dallo Stato prima del suo ritiro, con la conseguenza che la Russia è responsabile di possibili violazioni della Convenzione fino al 16 settembre 2022. Inoltre, secondo la Grande Camera, vi sono prove non solo del supporto politico ai separatisti, ma anche di un ruolo attivo della Russia nel finanziamento, nello schieramento di truppe al confine e dell’ampio sostegno militare ai separatisti (la Russia ha negato la presenza di forze armate russe nel Donbass, mentre la Corte, dagli elementi presenti nel dossier, ha sancito che vi sono prove della presenza russa nei luoghi al centro della controversia), prove che portano al riconoscimento di una giurisdizione territoriale e personale, in ragione del potere di controllo di agenti russi nella zona e del ruolo della gerarchia politica russa che ha “esercitato una influenza significativa sulla strategia militare dei separatisti”. Senza dimenticare – osserva la Corte – il ruolo di Mosca nello svolgimento del referendum separatista. Un complesso di fattori che ha condotto la Corte a ritenere che vi era un controllo effettivo della Russia nella zona e che, quindi, le azioni o le omissioni dei separatisti devono essere imputate alla Russia. La Corte ha poi respinto le eccezioni di irricevibilità sollevate dalla Russia ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione, escludendo che non fosse stato rispettato il termine di presentazione del ricorso da parte di Ucraina e Paesi Bassi.  Strasburgo non ha altresì accolto la tesi della Russia secondo la quale la Convenzione non è applicabile nel caso di conflitti armati perché, al contrario, le norme convenzionali continuano ad applicarsi nei conflitti armati internazionali, in conformità alle altre norme di diritto internazionale umanitario. In ultimo, la Corte ha dichiarato ricevibile il ricorso in relazione a possibili violazioni degli articoli 2, 3, 4, 5, 9, 10 (con riguardo a una pratica amministrativa consistente nel colpire i giornalisti indipendenti e impedire la trasmissione radio e televisiva di società ucraine), dell’articolo 1 del Protocollo 1, dell’articolo 2 dello stesso Protocollo e dell’articolo 14 della Convenzione. La Corte, invece, ha dichiarato irricevibile il ricorso per l’esistenza di pratiche amministrative indicate nel ricorso n. 8019/16 (si tratta di uno dei ricorsi Ucraina contro Russia). Con riguardo al ricorso presentato dai Paesi Bassi va segnalato che la Corte ha dichiarato ricevibile il ricorso anche sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione con specifico riguardo all’abbattimento del volo MH17 ritenendo che, prima facie, vi siano prove sufficienti della sofferenza dei parenti delle vittime a causa dell’abbattimento dell’aereo, fermo restando che la questione di accertare se la sofferenza fisica e psichica subita dai parenti sia tale da rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 “è strettamente legata al merito della denuncia e solleva complesse questioni di fatto e di diritto che non possono essere risolte in questa fase del procedimento”. Adesso si passa al merito.

E’ utile ricordare che sono ancora pendenti altri tre ricorsi intestatali Ucraina contro Russia, riguardanti l’incidente navale nello stretto di Kerch, l’uccisione di oppositori politici all’estero e le operazioni militari russe in Ucraina, nonché oltre 8.500 ricorsi individuali legati all’occupazione della Crimea, alla guerra nell’Ucraina orientale e alle vicende nel Mare di Azov.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *