Avvocati v. giudici: critiche senza insulti a membri dell’apparato giudiziario

Limiti alla libertà di espressione più rigorosi nei casi in cui non è in gioco una questione di interesse generale o la libertà di stampa e laddove si mina la fiducia della collettività nel sistema giudiziario. Alla luce di questo principio, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza del 27 gennaio (CASE OF KINCSES v. HUNGARY), ha respinto il ricorso di un avvocato ungherese che riteneva contrarie all’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto alla libertà di espressione, le sanzioni disciplinari disposte nei suoi confronti dall’Ordine professionale. Il legale aveva scritto un documento in cui accusava di incompetenza un giudice di primo grado e, per i toni usati, era stato oggetto di sanzioni disciplinari. Un provvedimento in linea con la Convenzione europea secondo la Corte di Strasburgo. In particolare, osserva Strasburgo, va tenuto conto dell’importanza di assicurare la fiducia della collettività nella giustizia ed escludere attacchi infondati al sistema giudiziario. Questo non vuol dire – osserva la Corte – che non sono possibili critiche ma a patto che l’obiettivo non sia quello di insultare. E’ evidente, infatti, che una chiara distinzione deve essere fatta tra la formulazione di critiche e insulti. Se l’unico intento è quello di insultare un membro di un tribunale, la sanzione, in linea di principio, non costituisce una violazione dell’articolo 10. La Corte, poi, considera che nel caso di specie non era in gioco la libertà di stampa con la conseguenza che un’eventuale limitazione alla libertà di espressione non intacca un valore fondamentale. Inoltre, nel caso di specie, la sanzione non era stata eccessiva o sproporzionata.

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