La Corte europea respinge il ricorso di un rapper spagnolo: i testi che incitano alla violenza non sono protetti dalla Convenzione

Il rapper che diffonde post e canzoni che incitano al terrorismo e alla violenza contro l’ex re di Spagna Juan Carlos I e contro le forze dell’ordine non è protetto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché i giudici nazionali hanno valutato attentamente gli effetti che i testi diffusi potevano avere sui più giovani tenendo conto dell’incitamento alla violenza in essi contenuto e hanno accertato che non si trattava di semplici messaggi di critica e di protesta. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la decisione Rivadulla Duró contro Spagna, ricorso n. 27925/21, depositata il 9 novembre (RIVADULLA DURÓ v. SPAIN).

L’azione a Strasburgo era stata avviata da un rapper spagnolo che aveva pubblicato una serie di post su Twitter di supporto verso un’organizzazione terroristica spagnola e altri post offensivi contro l’ex re di Spagna Juan Carlos I. Il rapper aveva anche pubblicato un video che, seppure non esplicitamente, ma attraverso un gioco di parole definiva l’ex re come “Bobon” (idiota). L’uomo era stato condannato a due anni di carcere e al pagamento di una multa di 13.500 euro per incitamento ad atti di terrorismo e atti violenti contro l’ex re, nonché per offese nei confronti della Corona. In appello la pena era stata ridotta a 9 mesi e la multa a 5.000 euro. Il rapper sosteneva che era stato violato il suo diritto alla libertà di espressione garantito dall’articolo 10 della Convenzione perché la condanna mirava a impedirgli di esprimere le proprie opinioni. Di diverso avviso la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato il ricorso inammissibile. Per Strasburgo, infatti, nel perimetro della libertà di espressione non rientrano le dichiarazioni di incitamento al terrorismo che, per di più, nel caso in esame, avevano avuto un’ampia diffusione, situazione che implicava il rischio di conseguenze pericolose. Le canzoni, infatti, erano facilmente e liberamente disponibili online ed erano state presentate anche nel corso di un concerto, con un’evidente incidenza in particolare sui più giovani. I testi incitavano o giustificavano atti di violenza contro politici, giudici, forze di polizia andando ben al di là di mere canzoni di protesta e delle critiche ammissibili. La valutazione dei giudici nazionali – scrive la Corte di Strasburgo – è stata effettuata tenendo conto delle pronunce della Corte europea e, quindi, non si può ritenere che sia stato violato l’articolo 10. A ciò si aggiunga che la sanzione non è stata sproporzionata o particolarmente severa. Pertanto, il ricorso è stato respinto in quanto manifestamente infondato.

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