CEDU e Corte Ue guidano la Cassazione sul mandato di arresto europeo

L’autorità giudiziaria di esecuzione competente nel mandato di arresto europeo può rifiutarsi di dare seguito alla consegna soltanto nei casi tassativamente elencati nella decisione quadro n. 2002/584 (poi modificata dalla n. 2009/299/GAI, recepita con legge n. 69/2005, modificata dal decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021), sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri nonché nei casi di violazione dei diritti fondamentali stabiliti dalla Carta Ue. Le autorità richieste, quindi, poiché il no alla consegna è un’eccezione rispetto al principio generale del mutuo riconoscimento, sono tenute a fornire gli elementi di fatto sui quali si basa il rifiuto, senza possibilità di applicare una mera presunzione circa possibili violazioni dei diritti fondamentali nello Stato richiedente. E’ quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 41101 depositata il 31 ottobre (MAE) con la quale è stata annullata la sentenza della Corte di appello di Bologna che aveva respinto la richiesta di consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria rumena. I giudici di appello si erano basati sul rischio di un trattamento carcerario inumano dell’accusato perché dalla richiesta non era emerso che sarebbe stato assicurato uno spazio minimo individuale di 3 mq. La Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna condividendo la tesi in base alla quale la Corte territoriale avrebbe commesso un errore nell’individuazione dello spazio minimo individuale da garantire alla persona sottoposta a detenzione. La Cassazione ha così ricostruito la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha adottato come punto di riferimento la superficie calpestabile e ha considerato, altresì, i cambiamenti apportati in Romania proprio a seguito di queste sentenze, per impedire nuove violazioni legate a trattamenti inumani e degradanti dei detenuti. In presenza, quindi, di informazioni fornite dallo Stato richiedente volte ad assicurare un adeguato spazio nella struttura detentiva, è da escludere la possibilità di opporre un rifiuto alla consegna. E questo – osserva la Cassazione – anche in ragione delle pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea che impone di partire dal presupposto che gli Stati membri dell’Unione rispettino i diritti fondamentali, salvo nei casi in cui si dimostrino le circostanze eccezionali che impediscono la consegna.

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