Dichiarazioni di coimputati ritrattate nel corso del processo: la CEDU respinge il ricorso contro l’Italia

Le dichiarazioni rese durante le indagini preliminari, anche se ritrattate in sede processuale, possono essere utilizzate come prova. Lo ha stabilito la  Corte europea dei diritti dell’uomo con la decisione del 13 novembre (ricorso n. 43952/09, BOSTI c. ITALIE)), resa nota nei giorni scorsi dagli uffici della Corte, con la quale Strasburgo ha respinto il ricorso di un detenuto condannato anche sulla base delle dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia durante le indagini preliminari. Il ricorrente aveva contestato l’utilizzo delle dichiarazioni, inserite nel fascicolo processuale, in considerazione del fatto che il collaboratore di giustizia, coimputato, aveva ritrattato le accuse, formulate nel corso delle indagini, durante il processo. Dopo una lunga vicenda processuale, il condannato ha fatto ricorso a Strasburgo invocando la violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura l’equo processo. La Corte, però, gli ha dato torto, dichiarando il ricorso irricevibile.

Prima di tutto, Strasburgo parte dalla constatazione che le questioni relative alla ricevibilità e alla valutazione delle prove attengono agli ordinamenti nazionali che, tuttavia, devono tenere conto del fatto che gli elementi di prova devono essere prodotti in un’udienza pubblica, nel rispetto del contraddittorio. E’ vero – osserva la Corte europea – che possono essere ammesse eccezioni, ma solo se, in ogni caso, è salvaguardato il diritto di difesa. Ciò era avvenuto nel caso in esame, in linea con l’articolo 500 del codice di procedura penale il quale ammette che le dichiarazioni di un coimputato, pentito, rese prima del processo e poi ritrattate, siano inserite nel fascicolo processuale e utilizzate come prove, se la ritrattazione in sede processuale non è credibile in quanto frutto di pressioni indebite, ad esempio nei casi in cui la persona sia oggetto di violenza, di minaccia o abbia accettato offerte di denaro. Ora, i giudici nazionali avevano ritenuto la ritrattazione non credibile e avevano comminato le condanne non solo sulla base delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari, confluite nel fascicolo del dibattimento in linea con l’articolo 500, comma 4 del codice di procedura penale, ma anche sulla base di altri elementi di prova, incluse le testimonianze di altri pentiti attentamente valutate dai giudici nazionali. A ciò si aggiunga – precisa la Corte europea – che era stato consentito il controinterrogatorio durante la testimonianza in videoconferenza. Di qui la conclusione che non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 6. La Corte ha anche escluso una violazione del diritto alla presunzione d’innocenza tenendo conto che i giudici nazionali hanno proceduto a un libero apprezzamento delle prove e non hanno imputato al ricorrente le pressioni sul pentito che aveva ritrattato. Infondato, poi, il richiamo, all’articolo 7 della Convenzione che si occupa del principio nulla poena sine lege, che, secondo, il ricorrente sarebbe stato violato dall’utilizzo delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento. La Corte è chiara nel ritenere la norma non applicabile alle questioni procedurali, considerando, anche su questo punto, il ricorso irricevibile.

 

1 Risposta
  • Theo Curino
    gennaio 13, 2015

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