Torna all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo il rapporto tra diritto all’equo processo, garantito dall’articolo 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Con la sentenza del 14 marzo 2023, Georgiou contro Grecia (ricorso n. 57378/18, CASE OF GEORGIOU v. GREECE), per la prima volta, la Corte europea ha imposto allo Stato in causa la riapertura del processo interno per un’analisi accurata e una decisione motivata nel caso in cui i giudici di ultima istanza non attivino il rinvio pregiudiziale. La vicenda aveva avuto il via da un’indagine nei confronti di un cittadino greco che era stato Presidente dell’Istituto nazionale di statistica. L’uomo aveva presentato a Eurostat, nel 2009, dati relativi al deficit greco, senza però passare attraverso l’approvazione del Consiglio di amministrazione. Era stato aperto un procedimento penale e il ricorrente era stato assolto in primo grado e poi condannato in appello per violazione dei doveri d’ufficio. L’ex Presidente aveva presentato ricorso in Cassazione chiedendo a quest’ultima di sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, richiesta che era stata respinta. Ad avviso del ricorrente era stato violato il diritto all’equo processo secondo i criteri stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tesi condivisa dalla Corte di Strasburgo che, richiamando alcuni precedenti, ha osservato che l’articolo 6 impone ai tribunali nazionali di fornire motivazioni se, in base al diritto applicabile, adottano decisioni con le quali rifiutino di sollevare una questione pregiudiziale. Strasburgo osserva che, in base all’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i giudici di ultima istanza, nei casi in cui non sia più possibile alcun ricorso, sono tenuti a rivolgersi alla Corte Ue salvo nei casi in cui la questione pregiudiziale d’interpretazione del diritto Ue sia chiara. Nel caso in esame – osserva Strasburgo – la Corte di Cassazione poteva anche decidere di non rivolgersi a Lussemburgo, ma aveva l’obbligo di fornire una motivazione nel caso di mancato rinvio pregiudiziale alla Corte Ue, mentre ciò non è avvenuto, con la conseguenza che è stato violato l’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione europea. Per Strasburgo, quindi, la Cassazione poteva ritenere non necessario il rinvio, ma avrebbe dovuto fornire motivazioni sul punto (nella stessa direzione si veda la sentenza Schipani e altri contro Italia). Per quanto riguarda le misure da adottare, pur ricordando che, in base all’articolo 46 della Convenzione, lo Stato è libero nella scelta delle misure per adeguarsi alle sentenze di Strasburgo, la Corte europea sottolinea che è necessario ripristinare lo status quo ante e, quindi, procedere alla riapertura del processo interno in modo che la Corte di Cassazione possa esaminare e motivare la decisione di non attivare il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo.
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