Nessuna violazione della Convenzione europea se la condanna dei tribunali nazionali non è basata su prove e documenti raccolti dall’intelligence a Guantanamo

Non è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’utilizzo di prove ottenute durante la detenzione a Guantanamo. Se le autorità di uno Stato effettuano una missione nel campo di prigionia di Guantanamo, con una finalità meramente amministrativa e senza alcun collegamento con la procedura giudiziaria penale in Francia, non si verifica una violazione dell’articolo 6 della Convenzione che assicura l’equità del processo. E’ stata la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire con la sentenza Sassi e Benchellali (ricorsi n. 10917/15 e 10941/15) depositata il 25 novembre (AFFAIRE SASSI ET BENCHELLALI c. FRANCE) con la quale la Corte ha ritenuto che nel caso di specie la Francia non avesse violato la Convenzione europea proprio perché nel procedimento penale in Francia nei confronti dei due ricorrenti non era stato utilizzato, come prova, alcun materiale proveniente da Guantanamo. Il caso aveva al centro due cittadini francesi che si trovavano in Afghanistan per combattere al fianco dei talebani. I due erano stati arrestati in Pakistan e trasferiti dalle forze armate statunitensi a Guantanamo. Le autorità francesi erano state avvisate che lì si trovavano sei cittadini francesi e una missione istituita a Parigi si era recata nel campo di prigionia per accertare l’identità dei detenuti. Dopo due anni le autorità statunitensi avevano autorizzato il rientro in Francia di due prigionieri. Era iniziato il procedimento per partecipazione a un gruppo terroristico e per falsificazione del passaporto. I due imputati furono condannati a 4 anni di carcere, con una attenuazione di pena. La vicenda giudiziaria era proseguita fino ad arrivare a Strasburgo poiché i due ricorrenti sostenevano che vi era stata una violazione dell’articolo 6 in quanto le visite e i documenti raccolti a Guantanamo erano servite nel procedimento giudiziario interno. La Corte europea, in primo luogo, ha osservato che dal loro arrivo in Francia i due ricorrenti erano stati oggetto di un’accusa penale, ma non nel momento delle audizioni delle missioni tripartite francesi inviate a Guantanamo, che erano estranee al concomitante procedimento giudiziario in Francia. Il procedimento contro di loro non si basava su prove che provenivano da Guantanamo e gli indagati erano stati interrogati da inquirenti diversi rispetto alle autorità che si erano recate nel campo di prigionia statunitense. Inoltre, gli accusati erano stati interrogati dal giudice istruttore diverse volte in presenza dei propri avvocati e avevano avuto accesso a tutto il materiale inserito nel fascicolo, inclusi i documenti ottenuti a Guantanamo e declassificati. E’ vero – osserva la Corte – che i documenti contestati erano presenti nel fascicolo, ma sia la Corte di appello di Parigi sia la Corte di Cassazione si erano basate su prove diverse, in possesso degli inquirenti francesi e frutto di interrogatori svolti mentre si trovavano in Francia. Nella motivazione della sentenza, inoltre, era presente un unico riferimento alle informazioni ottenute durante la missione a Guantanamo ma, poiché non erano state utilizzate come base né per l’accusa né per la condanna dei ricorrenti, non è stato violato l’articolo 6 della Convenzione europea.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *