La prescrizione troppo breve a causa del calcolo dei periodi di interruzione, che non permette, in modo sistematico, l’applicazione di sanzioni a coloro che commettono frodi sull’iva a danno degli interessi finanziari dell’Unione europea è contraria alle norme Ue e, quindi, la norma interna che la prevede deve essere disapplicata. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza dell’8 settembre (causa C-105/14, prescrizione) che riacceso il dibattito sui rapporti tra Lussemburgo, Corte costituzionale e diritti fondamentali. Nel caso in esame, che è partito da un rinvio pregiudiziale d’interpretazione del Tribunale di Cuneo, una parte dei reati nei confronti di diversi imputati, accusati di aver commesso delle frodi carosello in materia di iva, si era estinta per effetto dei periodi di interruzione da considerare ai fini della prescrizione. Per la Corte di giustizia, in base all’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, gli Stati devono applicare misure dissuasive ed effettive per impedire attività illecite a danno degli interessi finanziari dell’Unione. Secondo Lussemburgo, se le norme interne sulla prescrizione impediscono, in un numero considerevole di casi di frode, l’adozione di decisioni giudiziarie definitive per punire gli autori dei reati sono compromessi gli interessi finanziari dell’Unione. Spetta così al giudice nazionale disapplicare direttamente la norma interna, una volta accertata la sussistenza delle condizioni indicate dalla Corte Ue. Per gli eurogiudici non solo non è necessario “chiedere o attendere la previa rimozione” in via legislativa delle norme interne che conducono a un effetto contrario al diritto Ue, ma il giudice nazionale non deve sollevare una questione di legittimità costituzionale. La Corte è poi passata ad analizzare gli effetti della disapplicazione della norma interna sull’interruzione della prescrizione in relazione al principio di legalità delle pene tenendo conto che la disapplicazione provoca la comminazione della sanzione malgrado la prescrizione del reato per le regole interne. La Corte Ue, pur affermando che spetta al giudice nazionale il compito di “assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati”, dà una soluzione nel senso della compatibilità della disapplicazione con i diritti fondamentali perché essa ha il solo effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale di un procedimento pendente e questo non costituisce una violazione dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che assicura il rispetto del principio di legalità. Tra l’altro, l’indicata disapplicazione non porta a una condanna per fatti che non costituivano un reato nel momento in cui sono stati commessi o una sanzione non prevista, situazione che porta ad escludere la violazione dei diritti sanciti nella Carta. La disapplicazione, a dire dei giudici Ue, è anche conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché la proroga del termine di prescrizione, in altri casi, è stata giudicata da Strasburgo in linea con l’articolo 7 della Convenzione (principio di legalità) se i fatti addebitati non si sono prescritti. Restano da chiarire gli effetti della disapplicazione della norma interna sulle regole dell’equo processo le quali esigono che i criteri per comminare una sanzione siano chiari e applicati in via generale, in modo da garantire la certezza del diritto e la tutela degli imputati.
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