Esecuzione del mandato di arresto anche se scadono i termini

La scadenza del termine previsto per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo non sottrae lo Stato membro richiesto dall’obbligo di eseguire il provvedimento. Di conseguenza, le autorità nazionali dello Stato di esecuzione sono tenute a pronunciarsi sulla richiesta di consegna che proviene da un altro Paese Ue anche quando i termini fissati dalla decisione quadro 2002/584 sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri, recepita in Italia con legge n. 69/2005, sono ormai decorsi. E’ la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 16 luglio (C-237/15, C-237:15) a chiarirlo, privilegiando le esigenze della cooperazione giudiziaria penale sui limiti temporali stabiliti anche a tutela dell’individuo da consegnare.

Il mandato di arresto europeo era stato emesso dalle autorità inglesi nei confronti di un cittadino irlandese accusato di omicidio che, arrestato a gennaio 2013, non aveva dato il proprio consenso alla consegna. Solo a giugno 2014 l’Alta Corte irlandese aveva iniziato il procedimento ma i termini stabiliti dall’articolo 17 della decisione quadro che danno alle autorità nazionali 60 giorni di tempo (con proroga di altri 30) per l’esecuzione erano ormai decorsi. I giudici irlandesi, poiché i termini erano scaduti, hanno chiesto alla Corte Ue di chiarire se malgrado l’inosservanza dei termini, il mandato di arresto debba essere eseguito.

Prima di tutto, gli eurogiudici mettono in primo piano la funzione del mandato di arresto europeo che, nel segno della fiducia reciproca, vuole accelerare la consegna del destinatario del provvedimento. Di qui l’individuazione di termini precisi che, tuttavia, anche se non rispettati non fanno venir meno l’obbligo di adottare una decisione, tanto più che i casi di non esecuzione sono previsti in modo chiaro nella decisione quadro. L’articolo 17, inoltre, pur indicando la scadenza temporale, non limita la validità dell’obbligo di consegnare la persona al rispetto dei termini. A ciò si aggiunga – osserva la Corte – che gli Stati membri non sono obbligati a rimettere in libertà il destinatario del provvedimento nel rispetto, però, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

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