Giudizio di valore offensivo senza base fattuale: giusta la condanna per diffamazione

Va bene la libertà di espressione, ma la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non protegge affermazioni offensive soprattutto quando le modalità e i tempi amplificano l’impatto offensivo delle dichiarazioni. E’ quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Genner contro Austria depositata il 12 gennaio (ricorso n. 55495/09, CASE OF GENNER v. AUSTRIA). Un dipendente di un’associazione a sostegno dei richiedenti asilo era stato condannato per diffamazione in quanto, il giorno dopo la morte di una ex ministra dell’interno austriaco, l’aveva definita come criminale e aveva affermato che le leggi in materia di rifugiati da lei volute erano di stampo razzista. L’uomo, denunciato dal marito della ministra, era stato condannato per diffamazione. Prima di tutto la Corte ha riconosciuto che la limitazione alla libertà di espressione era prevista dalla legge e perseguiva un fine legittimo ossia la tutela della reputazione altrui, contemplata come limite nello stesso articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione. Certo, il dibattito verteva su una questione di interesse pubblico come l’accoglienza dei migranti e quanto dichiarato rientrava nell’ambito di un giudizio di valore che consente un più largo utilizzo della provocazione, ma l’uomo condannato aveva reso quelle dichiarazioni proprio all’indomani della morte del ministro, amplificando il carattere offensivo di quanto pronunciato. Si trattava, inoltre, di un attacco personale offensivo che mancava di ogni base fattuale tenendo conto che la legge controversa aveva superato il test della Corte costituzionale austriaca. Inoltre, la sanzione – una multa di 1.200 euro – era stata proporzionata. Respinto così il ricorso e riconosciuta la conformità alla Convenzione della condanna disposta dai giudici austriaci.

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