Carcere e diffamazione via Facebook: si pronuncia la Cassazione – The Italian Supreme Court on prison sentence and defamation

La pena detentiva nei casi di diffamazione è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con sentenza n. 33495 depositata il 24 luglio, ha accolto, sotto questo profilo, il ricorso di un uomo condannato per aver diffamato via Facebook l’ex moglie del nipote (33495). Il ricorrente era stato condannato a venti giorni di reclusione, con il beneficio della condizionale, per il reato di diffamazione attraverso il social network, nonché al risarcimento del danno, patrimoniale e non, pari a 7mila euro. La Cassazione ha respinto tutti gli altri motivi di ricorso come, ad esempio, il diritto di critica invocato dal ricorrente, anche in ragione della totale gratuità delle espressioni utilizzate, in grado di ledere la dignità della persona. Tuttavia, la Suprema Corte, richiamando le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Belpietro contro Italia, Fatallayev contro Azerbaijan e Katrami contro Grecia, con le quali la Corte di Strasburgo ha precisato che la sanzione del carcere è incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione, che assicura il diritto alla libertà di espressione, salvo nei casi di incitamento all’odio e alla violenza, ha accolto il ricorso limitatamente a questo motivo. Di conseguenza, la Cassazione ha annullato la pronuncia dei giudici di merito solo per il trattamento sanzionatorio, rinviando per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

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