Gli Stati possono limitare il riconoscimento di diritti a chi contrae solo un matrimonio religioso

Non è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo la scelta delle autorità nazionali di non riconoscere alcuni diritti, come quello ad ottenere la pensione di reversibilità, a una donna che si era sposata unicamente con un rito religioso, senza che il suo matrimonio avesse effetti sul piano civile. E’ stata la Grande Camera, con la sentenza depositata il 2 novembre 2010 (Serife Yigit contro Turchia, ricorso n. 3976/05, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=9&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=61622377&skin=hudoc-en), a dare il via libera agli Stati che hanno il pieno potere di decidere, con l’obiettivo di proteggere l’istituzione familiare tradizionale, di riconoscere alcuni diritti unicamente a una coppia che si sposa in sede civile. A Strasburgo si era rivolta una donna che, alla morte del marito sposato con solo rito religioso, aveva chiesto la pensione di reversibilità. L’istanza era stata respinta dalle autorità nazionali. Di qui il ricorso a Strasburgo che, però, ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione dell’articolo 8 che riconosce il diritto alla vita privata e familiare perché la semplice circostanza che uno Stato non riconosce alcuni diritti ereditari a chi ha scelto un determinato rito, che non produce effetti civili, non è contrario alla Convenzione europea. Né, per la Corte, vi è stata violazione dell’articolo 14 che vieta ogni discriminazione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 che garantisce il diritto di proprietà.

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