I giudici inglesi intervengono sull’applicazione della Carta UE

Gi Stati membri iniziano a delineare, tramite gli interventi degli organi giurisdizionali, i limiti di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea divenuta vincolante con il Trattato di Lisbona. Ultima, in ordine di tempo, è stata la Corte amministrativa inglese che, con sentenza del 29 novembre 2010 (EWHC 3110, http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Admin/2010/3110.html), ha chiarito che, in base all’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali Ue, tale atto si applica solo nei casi in cui venga in rilievo l’attuazione del diritto Ue, oltre a precisare che secondo l’articolo 52, comma 3 il significato e la portata dei diritti della Carta se «corrispondenti a  quelli garantiti dalla Convenzione… sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione». La pronuncia della Corte è il risultato di un ricorso di due cittadini statunitensi, condannati a morte negli Usa, che avevano impugnato la decisione delle autorità inglesi le quali si erano rifiutate di bloccare l’esportazione del pentothal, l’anestetico impiegato in Usa prima dell’esecuzione capitale (si veda il post del 27 dicembre per quanto riguarda l’Italia). La Corte inglese, che ha respinto il ricorso, dopo aver stabilito l’inapplicabilità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per l’assenza di ogni contatto della vicenda oggetto del ricorso con la giurisdizione territoriale del Regno Unito, ha anche precisato che la Carta di Nizza non poteva essere applicata proprio perché non si trattava di un caso relativo all’attuazione del diritto Ue. I giudici inglesi, inoltre, hanno anche osservato che l’articolo 52 della Carta laddove stabilisce che i diritti in essa contenuti se corrispondenti a quelli della Convenzione hanno la stessa portata e significato dell’atto del Consiglio d’Europa intende riferirsi non solo al loro contenuto, ma anche all’ambito di applicazione ratione personae dei diritti. E’ vero, riconosce la Corte, che la Carta non ha limiti applicativi simili a quelli contenuti nell’articolo 1 della Convenzione europea, ma essa non può essere applicata se non nei limiti stabiliti dalla Convenzione.

Sui limiti di applicazione della Carta, in precedenza, era intervenuta anche la Corte costituzionale italiana che, con la sentenza n. 138/2010 depositata il 15 aprile 2010, oltre a dichiarare l’inammissibilità della questione di legittimità relativa al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha richiamato l’articolo 51 della Carta e quindi l’attuazione circoscritta al solo diritto Ue, precisando che  l’articolo 9, laddove riconosce il diritto di sposarsi, rinvia alle legislazioni nazionali alle quali spetta disciplinarne l’esercizio.

Sulla Carta Ue, poi, la parola spetta alla Corte di giustizia il cui intervento in via pregiudiziale è stato invocato dalla Court of Appeal inglese (Civil Division) che il 18 agosto 2010 ha depositato un rinvio pregiudiziale (c_27420101009it00210022) chiedendo ai giudici Ue di precisare se una decisione adottata da uno Stato membro in base al regolamento Dublino rientri nell’ambito di applicazione del diritto Ue ai fini dell’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali. I giudici di Lussemburgo dovranno anche chiarire se la protezione accordata in base al regolamento, tenendo conto dei diritti attribuiti dalla Carta dei diritti fondamentali, sia più ampia della protezione prevista dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

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