La libertà di religione garantita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo include anche il diritto di non rivelare il proprio credo. Di conseguenza, si realizza una violazione della Convenzione se gli Stati, nel proprio ordinamento, prevedono l’obbligo di giurare sulla bibbia prima di una testimonianza in un processo, pur consentendo al teste di potersi astenere dal giuramento dichiarandone i motivi. In questo caso, infatti, un individuo sarà costretto a svelare in pubblico di non credere in una determinata religione, tanto più che nei verbali è poi espressamente indicato che gli individui non avevano giurato sulla bibbia in quanto atei o di religione ebraica. Di qui la violazione dell’articolo 9 della Convenzione. E’ la conclusione raggiunta dalla Corte europea nella sentenza Dimitras e altri contro Grecia (ricorso n- 42837/06, 3269/07, 35793/07 e 6099/08, http://www.echr.coe.int/) che, oltre ad accertare la violazione, ha disposto che la Grecia debba pagare 15.000 euro ai ricorrenti per i danni non patrimoniali. La Corte, però, non si è pronunciata sull’aspetto più interessante ossia sull’eventuale violazione dell’articolo 6 da parte degli Stati che espongono simboli religiosi nelle aule giudiziarie.
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Claudia M.
giugno 8, 2010..una riflessione…questa sentenza mi pare interessante anche in relazione al d.d.l. Ceccanti presentato come ‘reazione’ al caso Lautsi…Se la Corte ha considerato una violazione il ‘dover rivelare’ in pubblico il proprio credo, alle stesse conclusioni potrebbe giungere nel caso in cui un individuo lamenti di aver dovuto ‘richiedere’ la rimozione del crocifisso, dovendo così automaticamente e obbligatoriamente ‘rivelare’ di non appartenere a una determinata fede religiosa…