Inquinamento e diritto alla vita: irricevibile il ricorso per le emissioni prodotte dall’Ilva

Non passa per Strasburgo l’accertamento della violazione del diritto alla vita a causa dell’inquinamento ambientale provocato dall’Ilva. Almeno per il momento e fino a quando i ricorrenti non saranno in grado di dimostrare un nesso causale tra emissioni prodotte dall’acciaieria e danno alla salute. Con decisione depositata il 16 aprile, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Smaltini contro Italia (ricorso n. 43961/09, SMALTINI c. ITALIE), ha dichiarato irricevibile il ricorso di una donna, ammalatasi di leucemia e deceduta per questa malattia (l’azione è stata poi portata avanti dal marito e dai figli), determinata, secondo quanto sostenuto nel ricorso, dall’inquinamento provocato dall’Ilva di Taranto. La donna aveva presentato una denuncia contro alcuni dirigenti dell’Ilva che, a suo dire, avevano autorizzato emissioni illegali. La Procura della Repubblica aveva constatato che non vi era alcun legame causale tra le emissioni e il cancro e aveva chiesto l’archiviazione, accordata dal giudice per le indagini preliminari.

La donna aveva fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che non si è pronunciata sulla questione del previo esaurimento dei ricorsi interni poiché ha dichiarato l’azione irricevibile in quanto i ricorrenti non hanno dimostrato la violazione, sotto il profilo procedurale, dell’articolo 2 della Convenzione europea che assicura il diritto alla vita. La Corte, chiarito che sussistono obblighi positivi gravanti sugli Stati, che derivano dall’articolo 2, anche in relazione alle attività industriali pericolose, ha rilevato che l’azione dei ricorrenti era stata incentrata sui soli aspetti procedurali perché non si contestava allo Stato la mancata adozione di misure legislative e amministrative per proteggere la vita degli individui, né il mancato rispetto delle regole applicabili alle attività pericolose. Al centro del ricorso, infatti, vi sono i soli aspetti procedurali ossia la mancata constatazione del legame di causalità tra le emissioni e l’insorgere della malattia. Tuttavia, scrive la Corte, le parti non hanno dimostrato il nesso causale e non hanno provato che le inchieste fossero state parziali. Al contrario – prosegue Strasburgo – risulta che vi è stato un esame scrupoloso, accompagnato da un approfondimento dei rapporti scientifici sulla diffusione dei tumori nella zona di Taranto. Inoltre, il procedimento nazionale ha assicurato il pieno rispetto del contraddittorio e l’obbligo di motivazione. Di conseguenza, la Corte europea ha dichiarato il ricorso irricevibile considerando che non è stato provato, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dell’azione, la violazione dell’articolo 2. Per i giudici internazionali, infatti, il ricorrente non ha dimostrato che gli studi epidemiologici, i quali attestavano che non vi era stato alcun incremento di tumori, erano sbagliati. Strasburgo, però, ha cura di precisare che una simile conclusione è senza pregiudizio di nuovi studi scientifici lasciando aperto uno spiraglio a future azioni su dati scientifici diversi.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *