Invocare il boicottaggio di prodotti provenienti da Israele non può essere considerato un reato: la Cedu condanna la Francia per violazione della libertà di espressione

Partecipare a una manifestazione per boicottare prodotti importati da Israele e incitare a una “discriminazione” economica verso quelle merci non può portare a una sanzione in sede penale. Lo scrive la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza depositata l’11 giugno nel caso Baldassi e altri (ricorso 15271/16 e altri, AFFAIRE BALDASSI ET AUTRES c. FRANCE) con la quale Strasburgo ha condannato la Francia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che assicura il diritto alla libertà di espressione. A rivolgersi alla Corte sono stati undici attivisti impegnati nel supporto alla causa palestinese, che invocavano, nel corso di manifestazioni all’interno di supermercati, il boicottaggio di prodotti importati da Israele per protesta contro le violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi. La procura aveva aperto un’inchiesta ritenendo che fosse stato violato l’articolo 24 delle legge del 29 luglio 1881 che vieta la discriminazione. In primo grado erano stati prosciolti, ma la Corte di appello di Colmar li aveva condannati per incitamento alla discriminazione. Il verdetto era stato confermato in Cassazione e così la vicenda è approdata a Lussemburgo. Respinto il ricorso per violazione dell’articolo 7 della Convenzione, la Corte europea, invece, ha dato ragione ai ricorrenti per l’articolo 10. Prima di tutto, la Corte ha precisato che incitare a trattare diversamente taluni prodotti non comporta necessariamente un incitamento alla discriminazione. Inoltre, un aspetto rilevante è che, a differenza di una vicenda analoga (Willem contro Francia) che aveva portato la Corte a respingere il ricorso dei ricorrenti, in questo caso l’azione di protesta era stata portata avanti non da una figura pubblica come il sindaco, ma da privati cittadini, privi di funzioni pubbliche e di governo. Gli attivisti, poi, non avevano mai incitato all’odio razziale, limitandosi a distribuire volantini, né avevano avuto condanne per razzismo o per aver incitato alla violenza. Anche nella manifestazione nei supermercati non avevano utilizzato forme di protesta violente e gli stessi supermercati non si erano costituiti come parti civili. Inoltre, – osserva la Corte – l’interpretazione dei giudici francesi di fatto comporta l’impossibilità di ogni appello al boicottaggio di prodotti in ragione della loro origine geografica, sostanzialmente impedendo la libertà di espressione che richiede un alto livello di protezione da parte degli Stati vincolati dalla Convenzione europea. Né i giudici nazionali hanno considerato che la manifestazione serviva a richiamare l’attenzione della collettività su un tema di interesse generale e che le azioni avevano un significato politico. Di conseguenza, per Strasburgo, i giudici nazionali non hanno applicato l’articolo 10 della Convenzione perché non hanno considerato che i discorsi politici sono sempre fonte di polemiche e che, però, servono alla collettività per discutere su temi di interesse generale. L’assenza, poi, di ogni incitamento alla violenza porta la Corte europea a concludere che la condanna degli attivisti è stata contraria alla Convenzione dei diritti dell’uomo ed è stata un’ingerenza non necessaria in una società democratica, con la conseguenza che la Francia deve versare a ogni ricorrente 300 euro per i danni materiali e 7mila euro per quelli non patrimoniali.

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