La Cassazione sulla litispendenza secondo il regolamento Bruxelles – Italian Court of Cassation: lis pendes and EU Brussels Regulation

Non c’è litispendenza se solo una parte del processo coincide con quella di un altro procedimento che si è svolto in un diverso Stato. Lo ha precisato la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 20841 della terza sezione civile depositata il 21 agosto (litispendenza). A rivolgersi alla Suprema Corte i familiari di un cittadino italiano morto a seguito di un incidente stradale in Austria. Una donna ungherese, che guidava l’altra automobile coinvolta nel sinistro, era assicurata contri i rischi della responsabilità civile da una società ungherese. I tribunali austriaci avevano accertato la responsabilità della donna e obbligato la compagnia di assicurazione ungherese a corrispondere il risarcimento, ma gli eredi non avevano potuto richiedere l’indennizzo per il danno non patrimoniale perché l’ordinamento austriaco non prevede questa possibilità. Di qui l’azione dinanzi ai giudici italiani: il Tribunale di Bolzano prima e la Corte di appello poi hanno respinto il ricorso ritenendo che ci fosse un difetto di giurisdizione per la litispendenza in base all’articolo 27, comma 2 del regolamento n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale sostituito, dal 2015, dal n. 1215/2012. Una conclusione non condivisa dalla Cassazione. Chiarito che l’accertamento della sussistenza di una situazione di litispendenza internazionale non configura una questione di giurisdizione, con la conseguenza che tale questione può essere decisa dalla stessa Sezione e non dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte ha ritenuto che l’assunto da cui era partita la Corte di appello non fosse corretto poiché il processo austriaco si era già chiuso e, quindi, non sussisteva una questione di litispendenza (come sostenuto dai giudici di primo grado) che avrebbe dovuto condurre alla sola sospensione del processo e non a declinare la giurisdizione.

Inoltre, la Cassazione fa notare che non sussisteva una coincidenza tra i soggetti convenuti nelle due cause (in quella italiana era citato anche il mandatario ossia la compagnia italiana competente per la liquidazione dei sinistri in Italia). Non solo. Per la Suprema Corte il presupposto ossia che la domanda dei ricorrenti dinanzi al Tribunale di Salisburgo e quella proposta in Italia “avessero ad oggetto un unico rapporto” era erroneo. In un caso infatti, l’istanza riguardava l’accertamento della responsabilità e il danno patrimoniale, nell’altro quello non patrimoniale. I due procedimenti, quindi, avevano solo una parte coincidente e cioè l’accertamento della responsabilità, ma non l’accertamento e la stima del danno. Pertanto, il giudice italiano “si sarebbe dovuto attenere al giudicato straniero per quanto riguarda l’an debeatur, e accertare autonomamente la frazione di quantum debeatur sottoposta al suo esame”. Nel caso in esame, quindi, per la Cassazione non si sarebbe potuto verificare un contrasto di giudicati perché per la parte comune ossia l’an debeatur il giudice italiano, in base all’articolo 33 del regolamento, avrebbe dovuto attenersi a quanto deciso dai tribunali austriaci, mentre per la parte autonoma sul danno non patrimoniale non era ipotizzabile un contrasto perché sul punto di giudici austriaci non si erano mai pronunciati. A conferma di detta conclusione, la Cassazione ha richiamato le pronunce della Corte Ue e, in particolare, la sentenza Merck del 19 ottobre 2017 (C-231/16). Così, la Suprema Corte, affermato che non può essere dichiarata la litispendenza internazionale quando il giudizio dinanzi a un giudice di un altro Stato membro si sia già concluso e che, quindi, il giudice italiano aveva solo l’obbligo di attenersi alla sentenza straniera per le questioni già decise, ha annullato, con rinvio, la pronuncia della Corte di appello.

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