Sull’obbligatorietà dei tentativi di conciliazione e individuazione degli organismi competenti è intervenuta la Corte di cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 26913 depositata il 24 ottobre (26913). La Suprema Corte ha stabilito il principio di diritto in base al quale “il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi dinanzi agli organismi Co.re.com, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Questo perché – ha scritto la Cassazione – è sufficiente che le parti “si rivolgano, in via alternativa, alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato o ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti di imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione europea 2001-310-CE”. Di conseguenza, se il tentativo di conciliazione è stato già esperito presso organismi abilitati è preclusa una successiva azione dinanzi al Co.re.com. La conclusione della Cassazione arriva a seguito di un ricorso presentato da un cittadino che aveva impugnato la sentenza della Corte di appello di Milano con la quale era stata ritenuta improcedibile la domanda contro una compagnia telefonica per il risarcimento danni da inadempimento contrattuale. Secondo i giudici di secondo grado, il ricorrente non aveva esperito il tentativo di mediazione ante causam, previsto per legge come condizione di procedibilità, dinanzi al Co.re.com. L’utente, infatti, aveva ritenuto di rivolgersi all’organismo di conciliazione della Camera di Commercio e, una volta concluso il procedimento, aveva avviato l’azione giudiziale. La Cassazione ha dato ragione al ricorrente. L’articolo 12 n. 1 della legge n. 249/1997, infatti, prevede che gli utenti possano avvalersi, in alternativa al tentativo di conciliazione presso il Co.re.com, di organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi fissati dalla citata raccomandazione della Commissione Ue. Ed invero, i giudici di appello avevano considerato detta norma come transitoria, fino al momento dell’effettivo funzionamento del Co.re.com. Una lettura non corretta ad avviso della Cassazione la quale ha confermato che la competenza è sia del Co.re.com sia di altri organismi alternativi, in linea con la delibera AGCOM n. 173/07. A ciò si aggiunga – prosegue la Suprema Corte – che in base alla direttiva Ue 2008/52 “il carattere volontario della mediazione consiste, non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento”. E’ poi evidente che se si condizionasse la procedibilità delle domande giudiziali a un determinato tentativo di conciliazione obbligatorio si correrebbe il rischio di intaccare il principio della tutela giurisdizionale effettiva, comprimendo il carattere volontario della mediazione, in modo contrario alla direttiva 2013/11/UE del 21 maggio 2013 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 130 del 6 agosto 2015). Sul punto, la Cassazione fonda il proprio ragionamento avvalendosi anche di diverse pronunce della Corte Ue nelle quali è stato precisato che il giudice nazionale “deve vegliare affinché l’interpretazione e l’applicazione delle norme interne non snaturino detta componente volontaria e libera della soluzione della lite tramite una procedura di mediazione”. Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di appello, rimettendo alla stessa Corte, in diversa composizione, la controversia.
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