La Corte di Cassazione precisa i contorni del reato di partecipazione a un’organizzazione terroristica di matrice islamica attraverso il web e i social media

La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con la sentenza n. 43917 depositata il 18 novembre affronta le questioni legate alla partecipazione a un gruppo terroristico internazionale, respingendo il ricorso di un cittadino egiziano, condannato per partecipazione all’Isis (terrorismo internazionale). In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che l’articolo 270 bis del codice penale non precisa “gli indici di riconoscibilità dell’attività di partecipazione a un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico”, con la conseguenza che spetta al giudice di merito dare concretezza alle espressioni contenute nella norma. Per la Corte, quindi, la “partecipazione” va individuata in relazione alle caratteristiche di ciascun caso. Nella vicenda in esame, il condannato aveva intrattenuto contatti con l’Isis che si desumevano – osserva la Cassazione – “dal sistematico e costante uso del web e dei social media per condividere e diffondere messaggi di propaganda e indottrinamento, nonché video relativi a gravi episodi di violenza reperiti nel cd. ‘deep web'” e dall’assistenza a un associato ospitato in un centro culturale presieduto dall’imputato. In presenza di una struttura organizzata anche se in modo rudimentale, di una condotta di adesione ideologica in vista di piani criminali diretti alla realizzazione della finalità associativa, l’art. 270 bis va applicato anche se non si verifica “l’inizio di materiale esecuzione del programma criminale”. Inoltre, va anche considerato che le organizzazioni terroristiche transnazionali hanno una struttura simile a una rete che mette in contatto soggetti che perseguono lo stesso progetto politico militare, scopo sociale del sodalizio. L’Isis – scrive la Cassazione – risulta conforme a “un modello polverizzato di articolazione”, simile a quello di Al Quaeda, con un’adesione aperta ma non indiscriminata, caratterizzata su base planetaria e finalizzata a una “più efficace forma di proselitismo”, con la messa a disposizione di supporti didattici operativi per la realizzazione delle finalità criminose. Il ricorrente, come risulta dalle pronunce di merito, aveva pubblicato messaggi inneggianti alla guerra santa e “al compimento di atti di terrorismo per immolarsi per la jihad”, anche attraverso la diffusione di materiale multimediale tratto da campi di addestramento degli affiliati all’Isis. L’uomo, inoltre, era stato inserito nei gruppi “telegram” e aveva aderito al canale dell’agenzia Isis “Nashir News”, elemento che è un ulteriore indice di contatto con la struttura dell’Isis poiché i contenuti di questa agenzia sono immediatamente operativi e “rivolti a soggetti già radicalizzati e pronti al jihad”. Pertanto, prosegue la Cassazione, l’uomo “era inserito in una filiera comunicativa in cui i gruppi social costituiscono i terminali per la divulgazione di dati informativi provenienti direttamente da Isis”. Giusta, quindi, la condanna decisa dalla Corte di assise di appello dell’Aquila per partecipazione dell’uomo all’associazione terroristica denominata Stato islamico.

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