La giustizia può attendere: l’Italia riporta a casa Almasri accusato di crimini di guerra e contro l’umanità

L’Italia, come la Mongolia e il Sudan, sceglie di non cooperare con la Corte penale internazionale e, con giustificazioni contraddittorie, ma fin troppo chiare, non solo scarcera Osama Almasri Njeem, generale libico e capo della polizia giudiziaria, arrestato a Torino il 20 gennaio e accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma lo riaccompagna a casa, con un volo speciale.

La Pre-Trial Chamber, il 18 gennaio 2025, aveva emesso un mandato di arresto nei confronti dell’uomo e aveva poi inviato la richiesta di arresto dell’indagato a sei Stati parte, inclusa l’Italia, attraverso i canali indicati da ciascuno Stato, dopo una consultazione con le autorità nazionali. La richiesta era stata trasmessa a Interpol. Almasry era arrivato a Torino ed era stato arrestato. Fino a qui tutto bene. Poi, però, è arrivata l’ordinanza della Corte di appello di Roma, sezione IV penale, proc. n. 11/2025 (Ordinanza). La Corte di appello, competente in materia di consegna ex legge 237/2012  (Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale), rilevando un difetto procedurale rispetto all’articolo 11 della legge 237/2012 in quanto era indispensabile “una prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra il Ministro della giustizia e la procura generale presso la Corte di appello di Roma” che, ad avviso, dei giudici era mancata e ritenendo non applicabile l’articolo 716 c.p.p., ha accolto l’istanza di scarcerazione di Osama Almasri Njeem e non ha convalidato l’arresto. Ne è seguito un duro comunicato della Corte penale internazionale (ICC arrest warrant). 

Al di là dell’interpretazione non convincente della Corte di appello di Roma, resta lo sgomento per le modalità con le quali il Governo è intervenuto a riaccompagnare a casa l’indagato, con un volo dei servizi, giustificando quest’intervento immediato con la rilevante pericolosità del capo della polizia giudiziaria, aspetto che, tra l’altro, pone una questione di più ampia portata: davvero uno Stato democratico può stipulare accordi con la Libia, quando il Ministro dell’interno italiano sostiene che il capo della polizia è molto pericoloso?  Non era poi proprio possibile attendere e sanare l’eventuale difetto nell’applicazione della procedura di consegna?

Forse la risposta è tutta qui: “Any trial in The Hague of Njeem would have brought unwanted attention to Italy’s migration policies and its support of the Libyan coast guard, which it has financed to prevent migrants from leaving (https://www.aljazeera.com/news/2025/1/22/icc-seeks-answers-after-italy-frees-libyan-war-crimes-suspect)”. 

In ogni caso, intanto, la Libia intanto ringrazia.

 

 

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