La norma sul permesso di soggiorno nei casi di violenza domestica va interpretata in linea con la Convenzione di Istanbul

Il Tribunale di Bari, sezione immigrazione e protezione internazionale, con provvedimento del 18 gennaio 2021, ha accolto la richiesta di una donna, cittadina albanese, che aveva chiesto il permesso di soggiorno perché vittima di violenza domestica (Tribunale). La donna aveva ottenuto un permesso di soggiorno per motivi familiari, vivendo con il marito, titolare del permesso, e due figlie nate in Italia. Venuta meno la convivenza, malgrado la denuncia per maltrattamenti depositata nei confronti del marito, il questore aveva respinto la sua richiesta di un permesso di soggiorno in base all’articolo 18 bis del decreto legislativo n. 286/1998, che è stato introdotto con il d.l. n.93/2013, convertito con legge n. 119/2013. Grazie all’indicata norma, il questore rilascia il permesso di soggiorno, su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza. Nel caso in esame, il questore, preso atto che il pubblico ministero titolare del procedimento penale aveva dato parere negativo alla concessione del permesso, aveva respinto la richiesta. Il Tribunale, chiarito che in base all’articolo 18 bis il parere del pubblico ministero è necessario per il rilascio del permesso, ha ritenuto che la motivazione sul solo fatto che mancava un accertamento giudiziale definitivo non era sufficiente perché il parere deve essere basato su elementi concreti e sul pericolo per l’incolumità della vittima. Tra l’altro, il Gip si era opposto alla richiesta di archiviazione. Il Tribunale, inoltre, chiarisce che l’articolo 18 bis deve essere interpretato alla luce della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica adottata a Istanbul l’11 maggio 2011, in vigore dal 1° agosto 2014, e ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 2013. Tale trattato ha portato all’approvazione del citato d.l. n. 93/2013 e poi all’inserimento dell’articolo 18 bis nel Testo unico sulla disciplina in materia di immigrazione. Così, tenendo conto del legame con il diritto internazionale, l’interprete nazionale è tenuto a garantire “la totale conformità della regola interna a quella posta nel diritto internazionale, coordinando il precetto così formatosi nell’ordinamento interno con le altre norme del medesimo ordinamento, tenendo conto del rango formale assunto in quest’ultimo dalla norma di adattamento alla convenzione internazionale e, nel caso italiano, dalle regole codificate negli art. 10 e 117 della Costituzione”. Di conseguenza, – precisa il giudice – va considerata non solo l’integrità fisica della vittima, ma anche quella psicologica in considerazione del fatto che le pressioni psicologiche hanno conseguenze “sulla libertà di autodeterminazione della vittima”. Il Tribunale, quindi, rilevata la situazione di pericolo concreto e attuale della ricorrente ha sospeso l’efficacia del decreto di rifiuto emesso dal questore e ha ordinato il rilascio del permesso di soggiorno ex articolo 18 alla ricorrente.

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