La pena è sproporzionata: ancora una volta Strasburgo bacchetta l’Italia per il carcere ai giornalisti

Dopo la condanna nel caso Belpietro, Strasburgo torna sulla misura del carcere per i giornalisti e indirizza all’Italia una nuova pronuncia con la quale dichiara la violazione del diritto alla libertà di espressione da parte dello Stato italiano. Con la sentenza di oggi (ricorso n. 30210/06, AFFAIRE RICCI c-1. ITALIE), la Corte europea dei diritti dell’uomo, pur constatando che la sentenza dei giudici italiani era stata conforme alla Convenzione nella parte in cui assicurava il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, ha condannato l’Italia in quanto la pena del carcere, laddove è in gioco la libertà di stampa, è in sé contraria alla Convenzione europea. Alla Corte di Strasburgo si era rivolto Antonio Ricci, l’autore della trasmissione televisiva “Striscia la notizia”, trasmessa da Canale 5, condannato a 4 mesi di carcere (pena sospesa) per la divulgazione di alcuni filmati e comunicazioni registrate su frequenze disponibili solo per uso interno alla Rai. L’autore televisivo si era difeso sostenendo di voler dimostrare l’ipocrisia di certa televisione e di essere tutelato dal diritto alla libertà di espressione. Un giudizio non condiviso dai giudici interni, ai quali la Corte europea dà ragione nel merito. Strasburgo parte dal presupposto che la divulgazione di informazioni confidenziali da parte dei giornalisti è possibile altrimenti il pubblico non riceverebbe informazioni su notizie scottanti, in ciò non condividendo le conclusioni dei tribunali nazionali, inclusa la Cassazione. Tuttavia, è sempre necessario raggiungere un giusto equilibrio tra confidenzialità delle comunicazioni e libertà di espressione. In questo caso, le comunicazioni erano state intercettate su frequenze riservate e interne, particolare che al ricorrente non poteva sfuggire visto la sua conoscenza dei mezzi di informazione. Pertanto, Ricci non aveva agito nel rispetto dell’etica giornalistica. Detto questo, però, la comminazione della pena del carcere conduce la Corte a ritenere violata, in ogni caso, la Convenzione europea.

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