Lavoro forzato minorile: la Corte suprema respinge il ricorso contro la Nestlé

La Corte Suprema degli Stati Uniti, con sentenza depositata il 17 giugno 2021, Nestlé USA, Inc. v. Due at al.  (n. 19-416 Corte suprema Nestle),  ha respinto il ricorso di sei cittadini del Mali che, da bambini, erano stati costretti a lavoro forzato in Costa d’avorio nelle piantagioni di cacao. Due multinazionali con sede in Svizzera, la Nestlé e la Cargill, pur non avendo stabilimenti in quel Paese avevano comprato il cacao da coltivatori che avevano impiegato quei minori. Così, i cittadini si sono rivolti ai tribunali Usa invocando, come titolo di giurisdizione, l’Alien Tort Statute che permette di rivolgersi ai tribunali civili Usa in caso di gravi violazioni di un trattato o di una consuetudine internazionale, con particolare riguardo, come sostenuto dalla stessa Corte Suprema nella sentenza Sosa, alle “violation of safe conducts, infringement of the rights of ambassadors, and piracy” e oggi anche nei casi di gravi violazioni di diritti umani e crimini contro l’umanità. Le due multinazionali erano accusate, in sostanza, di complicità, anche perché la filiale americana aveva utilizzato quel cacao e aveva tratto profitto dal lavoro forzato minorile, tanto più che le aziende avrebbero avuto la forza economica per fermare la prassi. Per la Corte Suprema, che ha richiamato la pronuncia Kiobel prospettando un’applicazione restrittiva dei casi in cui i giudici Usa hanno la giurisdizione in assenza di links giurisdizionali, il contatto minimo con gli Stati Uniti nel caso Nestlé dovuto unicamente allo svolgimento di un’attività negli Usa, non permette di attribuire la giurisdizione ai tribunali americani. La Corte Suprema ha così proseguito nell’opera di restrizione del perimetro di utilizzo dell’Alien Tort Statute.

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