Tra diritto dell’avvocato a seguire cerimonie religiose e buon funzionamento della giustizia la CEDU sceglie la celerità dei processi

Il rifiuto dell’autorità giudiziaria di spostare l’udienza per consentire a un avvocato di partecipare ai riti di alcune feste ebraiche non è una violazione del diritto alla libertà di religione garantito dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ la conclusione raggiunta, a maggioranza (4 contro 3) dalla Corte di Strasburgo nella sentenza del 3 aprile 2012 nel caso Sessa contro Italia (ricorso n. 28790/08, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=905517&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649) con la quale la Corte ha respinto il ricorso di un avvocato. Impegnato come legale di parte civile in un procedimento aveva chiesto al giudice di fissare un’udienza in una data diversa rispetto a quella indicata perché coincidente con alcune festività ebraiche. La richiesta era stata respinta anche perché nell’udienza relativa all’incidente probatorio è obbligatoria, in base all’articolo 401 del codice di procedura penale, unicamente la presenza del pubblico ministero e della persona sottoposta a indagini, anche se il difensore della persona offesa ha diritto di partecipare. Una conclusione conforme alla Convenzione secondo la Corte europea. Il rifiuto di rinviare l’udienza, per la Corte, ha un fondamento nel codice di procedura penale ed è una misura proporzionale rispetto all’obiettivo conseguito che è quello di assicurare il buon funzionamento della giustizia e la durata ragionevole del procedimento. A ciò si aggiunga che l’avvocato avrebbe potuto farsi sostituire da un collega e non ha subito certo pressioni per cambiare il proprio credo religioso.

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