Legislazione nazionale più favorevole al cittadino extra Ue: no all’applicazione della direttiva Ue nei confronti del singolo

No all’allontanamento di un cittadino di un Paese terzo, in situazione di irregolarità, se la legislazione nazionale prevede una situazione per lui più favorevole stabilendo un’alternativa tra sanzione pecuniaria e allontanamento, quest’ultimo applicabile solo in caso di circostanze aggravanti. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata l’8 ottobre nella causa C-568/19 (MO, C-568:19), con la quale Lussemburgo ha colto l’occasione per precisare quanto stabilito con la pronuncia del 23 aprile 2015, nella causa C-38/14, Zaizoune e con la sentenza Marshall del 26 febbraio 1986 (C-152/84), nella quale è stato chiarito che una direttiva non può “di per sé creare obblighi per un singolo, non potendo una disposizione di una direttiva essere fatta valere in quanto tale da uno Stato membro nei suoi confronti”. Nel caso in esame si trattava della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, recepita anche in Italia con il decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, coordinato con la legge di conversione 2 agosto 2011, n. 129 recante “Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari”, modificato dal successivo dl n. 113/2018 (convertito con l. 132/2018).

Al centro della vicenda dinanzi ai giudici spagnoli l’allontanamento di un cittadino colombiano arrivato in Spagna all’età di diciassette anni, per ricongiungersi con la madre. Le autorità di Toledo avevano adottato una decisione di allontanamento in base alla legge sugli stranieri ed emesso un divieto di reingresso per cinque anni. Il cittadino colombiano aveva impugnato il provvedimento, ma il Tribunale amministrativo di Toledo aveva respinto il ricorso anche in ragione del fatto che al soggiorno irregolare si aggiungeva un elemento negativo nella condotta del ricorrente il quale non aveva giustificato l’ingresso in Spagna, non aveva indicato la durata del suo soggiorno ed era privo di documenti di identità. La Corte superiore di Castiglia, prima di decidere, si è rivolta a Lussemburgo. Per la Corte Ue, una direttiva non può, di per sé, portare all’allontanamento di un cittadino straniero presente sul territorio di uno Stato membro in modo irregolare se la legislazione nazionale fissa una simile misura in alternativa a un’ammenda, per di più stabilendo il rimpatrio solo in presenza di circostanze aggravanti rispetto all’irregolarità. Pertanto, le autorità nazionali non possono far valere la direttiva direttamente sul singolo e procedere al rimpatrio in assenza delle circostanze aggravanti previste dalla normativa interna. Questo anche perché una direttiva non può, come stabilito nella sentenza Marshall, “di per sé creare obblighi per un singolo, non potendo una disposizione di una direttiva essere fatta valere in quanto tale da uno Stato membro nei suoi confronti” proprio perché, in base al principio nemo venire contra factum proprium, è stato chiarito che una direttiva non può essere invocata dallo Stato, inadempiente quanto al suo recepimento, per chiedere l’adempimento di obblighi ai singoli.

 

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