L’integrazione sociale del minore prevale sul credo religioso dei genitori

L’obbligo di frequentare corsi di nuoto misti all’interno delle strutture scolastiche pubbliche è conforme all’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto alla liberà di religione. Va bene rispettare il credo religioso dei genitori, ma non se ciò va a discapito dell’integrazione sociale dei minori, esigenza che prevale sulla volontà dei genitori. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza depositata il 10 gennaio (n. 29086/12, AFFAIRE OSMANOGLU ET KOCABAS c-1. SUISSE ), ha dato ragione alla Svizzera e respinto il ricorso di due genitori, cittadini svizzeri di origine turca e di religione musulmana. Questi ultimi avevano iniziato un contenzioso con le autorità scolastiche perché avevano impedito alle proprie figlie di 7 e 9 anni la frequenza dei corsi di nuoto inseriti nel percorso scolastico a causa del fatto che i corsi erano misti e non separati in base al sesso. Malgrado i reiterati inviti e ammonimenti a rispettare le regole scolastiche, i genitori erano andati avanti tenendo ferma la propria decisione e, così, si erano visti comminare un’ammenda di 1.292 euro. Era iniziata una diatriba nelle aule di giustizia ma i giudici nazionali avevano dato torto ai genitori e confermato l’ammenda. Di qui il ricorso, senza fortuna, alla Corte europea che ha dato ragione alla Svizzera. L’articolo 9 della Convenzione – chiarisce Strasburgo – non solo prevede il diritto alla libertà di religione, ma anche le modalità di manifestazione del proprio credo religioso, con la conseguenza che lo Stato ha obblighi negativi di non ingerenza e obblighi positivi per favorire il pluralismo religioso. A ciò si aggiunga che, salvo in casi eccezionali, gli Stati non possono effettuare apprezzamenti sulla legittimità del credo religioso e sulle modalità di espressione. Così, se da un lato si può ritenere che si è verificata un’ingerenza nella libertà di religione, dall’altro lato è certo che l’ingerenza è giustificata dal fine superiore di raggiungere l’inclusione sociale dei minori. Nell’ambito delle scelte legate al rapporto tra Stato e religione, inoltre, gli Stati hanno un rilevante margine di discrezionalità  e, questo, soprattutto laddove è coinvolta l’educazione scolastica. Questo porta la Corte europea a concludere nel senso che le autorità nazionali possono scegliere il percorso scolastico, in linea con le tradizioni nazionali. Dal ragionamento della Corte di Strasburgo, poi, emerge una condivisione delle scelte delle autorità svizzere che hanno attribuito importanza non solo al corso di nuoto in sé, ma alla funzione di integrazione e condivisione tra gli scolari. Lo svolgimento di corsi aperti a tutti i bambini, senza alcuna separazione tra maschi e femmine, ha un’alta funzione di integrazione secondo gli usi del luogo in cui vivono i minori, aspetto che ha particolare importanza soprattutto se si tratta di scolari con origini straniere. Uno strumento, quindi, per evitare forme di esclusione. Tra l’altro, la Corte evidenzia che le autorità nazionali hanno dato prova di un approccio non eccessivamente rigido, consentendo finanche l’utilizzo del burkini, ma i genitori erano stati irremovibili nella richiesta di lezioni separate per bambini e bambine. Alla luce del quadro delineato, la Corte europea ha dato ragione alla Svizzera, riconoscendo il valore dell’integrazione sociale dei bambini come prevalente rispetto al credo dei genitori.

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