Protezione internazionale per la donna che in Nigeria sarebbe costretta a sposare il fratello del marito

Gli atti di violenza domestica a danno di una donna impongono il riconoscimento della protezione internazionale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 28152/2017 depositata il 24 novembre 2017 (28152) con la quale la Suprema Corte, ribaltando la decisione della Corte di appello di Bologna, ha deciso nel merito riconoscendo la protezione internazionale a una donna nigeriana. Quest’ultima era fuggita dal suo Paese perché, dopo la morte del marito, secondo le consuetudini locali, avrebbe dovuto sposare il cognato. La donna si era rifiutata ed era stata allontanata dai figli, dalla sua abitazione e privata di tutte le proprietà, oltre ad essere perseguitata dal cognato che rivendicava il diritto a sposarla. La Commissione territoriale aveva negato il riconoscimento della protezione sussidiaria e la Corte di appello di Bologna aveva confermato il verdetto. Di diverso avviso la Cassazione che, invece, ha concesso lo status di rifugiato. Per la Suprema Corte, la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica adottata l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 2013, in base agli articoli 3 e 60, stabilisce che gli atti di violenza contro le donne e la violenza domestica sono “riconducibili all’ambito dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale”. Nella stessa direzione, anche le linee guida dell’UNHCR del 2002. Ed invero, nel caso di specie, la donna aveva subito gravi conseguenze per il solo fatto di essersi opposta al matrimonio con il cognato. Evidenti, quindi, i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato poiché sussiste il “fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese di origine del richiedente” perché appartenente a un gruppo sociale in quanto donna. La Corte di Cassazione ha anche specificato che i responsabili della persecuzione erano soggetti non statali ma le autorità nigeriane non hanno fornito protezione alla donna. Così, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte territoriale e concesso la protezione internazionale.

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