L’obbligo di pubblicare una lettera di scuse è un’ingerenza sproporzionata nella libertà di stampa se le notizie pubblicate, anche con il ricorso a toni provocatori, sono di interesse generale. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata il 21 novembre nella causa Redaktsiya Gazety Zemlyaki contro Russia REDAKTSIYA), con la quale Strasburgo è ancora una volta intervenuta per garantire l’effettività della libertà di stampa. A rivolgersi ai giudici internazionali era stato un editore: sul suo quotidiano erano stati pubblicati diversi articoli nei quali era criticato l’operato del capo dell’amministrazione di un comune. Quest’ultimo aveva citato in giudizio per diffamazione l’editore e i giudici nazionali lo avevano condannato al versamento di una cifra simbolica per danni non patrimoniali nonché alla pubblicazione di una sorta di rettifica con annesse scuse. Di qui l’azione a Strasburgo che ha dato ragione all’editore. L’ingerenza nel diritto alla libertà di stampa tutelato dall’articolo 10 della Convenzione europea non ha superato, in questo il caso, il test circa la necessità della misura in una società democratica. Per la Corte, infatti, il giornalista aveva riportato, come suo dovere, fatti di interesse generale che la collettività ha il diritto di ricevere. Non solo. La libertà del giornalista – osserva Strasburgo – include il “possibile ricorso a un grado di esagerazione e anche provocazione”. Negli articoli al centro dei ricorsi interni sotto accusa erano finiti i comportamenti del capo dell’amministrazione locale. Un politico di professione – scrivono i giudici internazionali – nei cui confronti i limiti alle critiche accettabili sono più ampi rispetto al privato cittadino. L’uomo, candidato alle elezioni locali, aveva scelto di entrare nell’arena pubblica e, quindi, era consapevole che ogni sua parola e ogni suo atto dovevano essere sottoposti allo scrutinio della stampa. Negli articoli, poi, erano contestate alcune scelte nella gestione delle proprietà e le capacità manageriali dell’uomo. Questioni di interesse generale, quindi, e non aspetti della vita privata. E’ vero che erano state usate delle espressioni sarcastiche, comparando l’uomo a una scimmia ed era stato riprodotto un collage con la sua fotografia con un turbante musulmano, la barba e un richiamo ad Osama bin Laden, ma tutto ciò rientra, per la Corte, nel diritto del giornalista a scegliere il proprio stile e a ricorrere a un certo grado di esagerazione. Per quanto riguarda la severità della sanzione, che comprendeva la pubblicazione di una lettera di scuse, Strasburgo ritiene che essa aveva l’effetto di scoraggiare la partecipazione della stampa al dibattitto su questioni di interesse pubblico ed è, quindi, un’ingerenza sproporzionata nel diritto alla libertà di stampa. Tenendo conto dello stress subito per il procedimento interno, la Corte ha imposto allo Stato di versare 7.500 euro all’editore.
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