Pubblicato il rapporto annuale sull’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo – Out the annual activity report of ECHR

E’ la Russia, con 238 sentenze, in vetta alla classifica dei Paesi che hanno subito il maggior numero di condanne dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Segue la Turchia a quota 140, l’Ucraina (86), la Romania (71) e l’Ungheria (35). L’Italia si colloca a quota 11, migliorando la posizione anche grazie al massiccio e strategico utilizzo dei regolamenti amichevoli e delle dichiarazioni unilaterali, con cui, di fatto, lo Stato riconosce la violazione e corrisponde un indennizzo ai ricorrenti: 243 i regolamenti amichevoli nel 2018 a fronte dei 36 nel 2017 e 273 le dichiarazioni unilaterali contro le 17 del 2017. Sono i dati snocciolati nella relazione annuale sull’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al 2018 presentata dal Presidente della Corte Guido Raimondi il 24 gennaio 2019 (Annual_report_2018_ENG). La Corte di Strasburgo mantiene un carico di lavoro elevato con 56.350 ricorsi pendenti (56.250 nel 2017), segno della fiducia dei cittadini verso la stessa Corte europea, ma anche della non realizzazione effettiva dei diritti dell’uomo sul piano interno, con buona pace del principio di sussidiarietà. Con sei Stati che impegnano più di tutti Strasburgo (con una percentuale pari al 70% dei casi pendenti). L’Italia si colloca al 5 posto, con 4.050 casi pari al 7,2% dell’intero carico, preceduta da Russia al primo posto (20,9%), Romania (15,1%), Ucraina (12,9%), Turchia (7,1%) e Azerbaijan al sesto (3,6%). 

Tra il 1959 e il 2018 l’Italia ha accumulato 1.830 condanne, preceduta solo dalla Turchia (3.128) e dalla Russia (2.365). Rispetto al 2017 sono aumentati i ricorsi contro l’Italia attribuiti a una formazione giudiziaria: dai 1.374 del 2017 si è arrivati a 1.692 nel 2018. Resta molto alto, nel complesso, il numero di ricorsi dichiarati irricevibili: 2.256 a fronte dei 1.973 del 2017. Segno, da un lato, di una certa rigidità nell’applicazione delle condizioni di ricevibilità, ma anche, in alcuni casi, della scarsa conoscenza delle regole di procedura. 

Tra le novità più significative del 2018, l’entrata in vigore del Protocollo n. 16, che rafforza il dialogo tra Corte europea dei diritti dell’uomo e giudici interni, consentendo alle corti supreme di uno Stato parte alla Convenzione europea di sospendere il procedimento interno e chiedere alla Grande Camera un parere sull’interpretazione o sull’applicazione di una norma convenzionale e sui protocolli addizionali. Da segnalare che l’Italia non ha ancora ratificato il Protocollo  (qui la prima applicazione da parte della Francia, http://www.marinacastellaneta.it/blog/prima-applicazione-del-protocollo-n-16-first-application-of-the-protocol-no-16.html). Tra le sentenze del 2018, un posto di primo piano il caso G.I.E.M. e altri contro Italia (ricorsi n. 1828/06 e altri) con la Grande Camera la quale ha chiarito, con la pronuncia del 28 giugno 2018, che la confisca senza il preventivo accertamento della colpevolezza dei destinatari della misura è in contrasto con il principio nulla poena sine lege e con il diritto di proprietà. Strasburgo, con l’indicata sentenza, è anche intervenuta nel dialogo tra corti, con una critica implicita alla pronuncia della Corte costituzionale n. 49/2015. I giudici internazionali, infatti, hanno affermato che “…the Court would emphasise that its judgments all have the same legal value. Their binding nature and interpretative authority cannot therefore depend on the formation by which they were rendered”.

Qui le statistiche complete (Stats_analysis_2018_ENG).

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