Responsabilità del portale di news per i commenti degli utenti conforme alla CEDU

Un portale di news, con finalità commerciali, che permette la diffusione di commenti che offendono la reputazione o incitano all’odio, senza procedere alla rimozione immediata dei contenuti, può essere giudicato responsabile per diffamazione. Di conseguenza, non si configura alcuna violazione della libertà di espressione, garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, da parte dello Stato che, attraverso i tribunali nazionali, procede a comminare una sanzione al portale che non blocca i commenti. E’ stata la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo con la sentenza Delfi contro Estonia depositata il 17 giugno (ricorso n. 64569/09, CASE OF DELFI AS v-1. ESTONIA), primo caso di responsabilità di un portale di news per i commenti di terzi pubblicati sul sito affrontato da Strasburgo.

La Grande Camera, confermando il giudizio della Camera del 2013, ha respinto il ricorso di una società estone, che gestisce un portale di informazione, pubblicando articoli e notizie e consentendo l’aggiunta di commenti, senza moderazione e senza registrazione obbligatoria. Il manager di una società di traghetti era stato vittima di commenti offensivi e ne aveva chiesto la rimozione, avvenuta dopo 6 settimane. Di qui l’azione giudiziaria e la condanna del portale a una sanzione pecuniaria di 320 euro. Una conclusione conforme alla Convenzione europea. Strasburgo riconosce l’importanza di internet e di alcune caratteristiche proprie, come l’anonimato, ma ha tenuto anche a sottolineare i rischi che esso presenta vista la diffusione e la permanenza dei contenuti diffamatori. Trattandosi del primo caso in materia, la Grande Camera ha delimitato le proprie valutazioni allo specifico contesto del caso che vede al centro un portale di news, con finalità economica e non, invece, la diffusione di commenti tramite un forum autonomo esterno, attraverso social media in cui il provider non fornisce il contenuto o un blog amatoriale. Una delimitazione che consente di non ritenere scontata una soluzione analoga a quella raggiunta nel caso Delfi nell’ipotesi in cui al centro della diffamazione vi siano commenti apparsi su facebook o altri social media.

Nel caso di specie, l’azienda non solo aveva il controllo dei contenuti pubblicati, ma aveva anche invitato gli utenti a trasmetterli, integrandoli nel sito. Senza dimenticare che il portale era l’unico ad avere la possibilità di bloccare o rimuovere il commento, senza che l’autore, una volta postato, potesse fare nulla dal punto di vista tecnico per eliminarlo. Una combinazione di fattori che spinge la Grande Camera a escludere che il portale possa rivendicare un ruolo puramente tecnico, tipico dei providers, proprio per il controllo esercitato. Di conseguenza non è contrario alla Convenzione considerare il portale responsabile per i commenti che risultano illegittimi in modo evidente. In questi casi, infatti, non vi è alcuna protezione dell’articolo 10 della Convenzione che certo non tutela la diffusione di messaggi di odio, il negazionismo o la diffamazione. E’ vero – osserva la Corte – che gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento quando vengono in rilievo due diritti in gioco (libertà di espressione da un lato e diritto alla reputazione dall’altro), ma con un preciso obbligo di non accordare protezione ai commenti diffamatori o di incitamento all’odio e, anzi, di prevenirne la diffusione. Desta poi stupore che la rimozione sia avvenuta dopo ben sei settimane e solo dopo la richiesta del legale. In ultimo, la Grande Camera ha giudicato la sanzione di soli 320 euro del tutto proporzionata.

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