Ricorso all’eutanasia in caso di gravi sofferenze psichiatriche: il Belgio non ha violato il diritto alla vita

Nessuna violazione del diritto alla vita. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo, che si è pronunciata il 5 ottobre con la sentenza Mortier contro Belgio (ricorso n. 78017/17, AFFAIRE MORTIER c. BELGIQUE (1) ) il quadro legislativo predisposto da Bruxelles e le modalità applicative delle norme interne non sono in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A rivolgersi alla Corte di Strasburgo è stato il figlio di una donna che, malata di depressione cronica da circa 40 anni, aveva deciso di ricorrere all’eutanasia. Il medico della donna aveva attestato i gravi problemi psichiatrici e il responsabile della procedura per l’eutanasia aveva suggerito alla donna di contattare i propri figli. Nel 2012 la paziente si era avvalsa della procedura prevista dalla legge belga in un ospedale pubblico. Il figlio della donna aveva contestato le modalità seguite, ma alcuni documenti non gli erano stati consegnati. Dopo una denuncia penale presentata dall’uomo contro i medici che avevano seguito la madre nel percorso verso l’eutanasia, era stata aperta un’indagine, ma il procuratore aveva deciso l’archiviazione. Di qui il ricorso alla Corte europea.

Prima di tutto Strasburgo, ricostruita la giurisprudenza già presente in materia di eutanasia e chiarito il margine di apprezzamento degli Stati per le scelte in materia di fine vita, ha accertato che non vi è stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione che assicura il diritto alla vita e ha precisato che la questione dinanzi alla Corte non riguardava in generale la legislazione belga del 28 maggio 2002 in materia di eutanasia, ma unicamente l’applicazione nel caso specifico. Detto questo, ad avviso di Strasburgo, la legislazione belga che ha portato anche alla depenalizzazione dell’eutanasia assicura il rispetto di numerose garanzie sostanziali e procedurali che sono per di più rafforzate, con l’intervento di una pluralità di specialisti, nei casi in cui a decidere di ricorrere all’eutanasia siano persone affette da gravi sofferenze psichiche. Prevista anche la possibilità di attivare controlli giurisdizionali, con la conseguenza che sotto questi profili non vi è stata una violazione del diritto alla vita. Nel caso di specie, inoltre, erano state adottate tutte le misure per accertare la situazione della donna e la gravità del suo stato. 

Un aspetto, tuttavia, non convince la Corte ossia l’applicazione delle regole sul controllo a posteriori richiesto dal figlio per accertare il rispetto del quadro normativo belga. Per i giudici internazionali, infatti, la presenza del medico che aveva praticato l’eutanasia all’interno della Commissione che doveva accertare il rispetto delle regole a seguito dei reclami dell’uomo compromette l’indipendenza stessa della Commissione e, sotto questo profilo, è in contrasto con l’articolo 2 e gli obblighi procedurali previsti. Esclusa invece la violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella parte in cui i medici non avevano contattato il figlio della donna tenendo conto che quest’ultima aveva deciso di non procedere in questo senso.

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