Rifugiato: la detenzione per l’omosessualità prevista nel Paese di origine è un atto di persecuzione – Refugee status: imprisonment in the country of origin for homosexual acts may constitute an act of persecution

Se chi richiede lo status di rifugiato rischia di essere sottoposto a persecuzione nel Paese di origine a causa del suo orientamento sessuale, le autorità nazionali sono tenute a concedere lo status. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con ordinanza n. 21262/19 depositata il 9 agosto, con la quale è stato accolto il ricorso presentato da un cittadino nigeriano che si era visto respingere il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché l’ammissione alla protezione sussidiaria e umanitaria (21262). L’uomo aveva presentato l’istanza sostenendo che la relazione omosessuale, in Nigeria, è un crimine punito con una pena detentiva, da assimilare a una sanzione discriminatoria e a una persecuzione. Tuttavia, la sua domanda era stata respinta e, quindi, l’uomo aveva impugnato la decisione della Corte di appello di Catania in Cassazione, che gli ha dato ragione. Per la Suprema Corte, i giudici di merito non hanno verificato, anche in via ufficiosa, le conseguenze che la relazione omosessuale avrebbe potuto avere nel Paese di origine del richiedente. La Corte di giustizia dell’Unione europea – osserva la Cassazione – sin dalla sentenza del 7 novembre 2013, nella causa C-199/12, interpretando la direttiva 2004/83, ha rilevato che una legislazione simile a quella nigeriana può costituire un atto di persecuzione e, di conseguenza, i giudici nazionali sono tenuti a un attento scrutinio dei fatti e a un esame delle disposizioni legislative e regolamentari dello Stato. Di qui l’annullamento della pronuncia dei giudici di merito e il rinvio alla Corte di appello di Catania per una nuova decisione.

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