Segreto professionale e strumenti finanziari: chiarimenti da Lussemburgo

Il segreto professionale prevale sull’accesso alle informazioni se il procedimento in cui una persona è coinvolta ha natura amministrativa e non penale. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella pronuncia del 12 novembre relativa alla causa C-140/13 (Altmann e altri, C-140:13) sull’interpretazione dell’articolo 54, della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, recepita in Italia con Dlgs 17 settembre 2007, n. 164. Sono stati i giudici tedeschi a chiedere l’intervento di Lussemburgo. Al centro della vicenda nazionale la richiesta di alcuni dirigenti di una società, condannati in sede penale per frode, di accedere a documenti dell’azienda sottoposta a liquidazione. Una richiesta non accolta in ragione del segreto professionale opposto dalle autorità nazionali, scelta condivisa dagli eurogiudici. La direttiva – ha precisato la Corte Ue – si prefigge di tutelare gli investitori e assicurare un clima di fiducia, tutelando il “normale funzionamento dei mercati degli strumenti finanziari dell’Unione”. In questa direzione, principio generale della direttiva è l’obbligo di mantenere il segreto professionale, pur ammettendo alcune limitate eccezioni. E’ il caso, ad esempio, dei procedimenti penali o delle ipotesi in cui le informazioni riservate non riguardino terzi, o ancora di informazioni che è possibile rivelare nei procedimenti civili e commerciali e che risultino necessarie in questi processi. Ora, i due dirigenti erano stati già condannati e la loro azione riguardava un procedimento amministrativo diverso da quelli indicati nelle deroghe elencate nell’articolo 54. Di conseguenza, secondo la Corte, l’autorità nazionale di vigilanza aveva l’obbligo di opporre il divieto di divulgazione delle informazioni. E questo anche se l’impresa d’investimento, sottoposta a liquidazione giudiziale, aveva messo in piedi una frode di ampia portata.

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