Sentenze di condanna in un altro Stato membro e pene accessorie: la Cassazione chiarisce gli effetti della decisione quadro 2008/675

Le sentenze di condanna pronunciate dalle autorità giudiziarie degli Stati membri devono essere prese in considerazione come fatto storico. La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 3389 depositata il 26 gennaio 2023 (sentenza) è intervenuta a chiarire come le autorità nazionali devono procedere a distinguere tra presa in considerazione della sentenza straniera e casi di riconoscimento ai fini dell’esecuzione della pronuncia resa in un altro Stato Ue. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania il quale aveva impugnato la sentenza con la quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza della Procura volta al riconoscimento, ai fini della recidiva, dell’interdizione dai pubblici uffici come conseguenza della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata dal Tribunale di Dortmund (Germania). Ad avviso della Suprema Corte, in linea con il decreto legislativo 12 maggio 2016 n. 73 con il quale è stata attuata la decisione quadro 2008/675/GAI relativa  alla  considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale, non sarebbe necessario alcun previo giudizio di riconoscimento. Questo perché – precisa la Cassazione – la decisione quadro stabilisce che, nel corso di un procedimento penale nei confronti di una persona verso la quale è stata già resa una pronuncia in un altro Stato membro, i giudici nazionali devono prendere in considerazione le precedenti condanne e devono attribuire “ad esse effetti giuridici equivalenti a quelli derivanti da precedenti condanne nazionali conformemente al diritto nazionale”.  Per la Cassazione, proprio la circostanza che la decisione quadro 2008/675/GAI e il relativo decreto attuativo indichino la “presa in considerazione” comporta che questo non implica un “automatico” riconoscimento, “avendo i suddetti strumenti normativi stabilito unicamente il principio di “equivalenza” tra la precedente decisione di condanna emessa da uno Stato U.E. e quella emessa in ambito nazionale, rispetto agli effetti specificamente indicati dal decreto legislativo testé richiamato”. Questo vuol dire che la sentenza già pronunciata può essere valutata dall’autorità giudiziaria non ai fini della sua esecuzione, ma esclusivamente come “fatto storico”, per effetti “che, in base al diritto interno, essa può esplicare nell’ambito di un nuovo procedimento penale nei confronti della stessa persona, ma per fatti diversi”. In caso contrario, chiarisce la Suprema Corte sarebbero violati i limiti indicati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo con particolare riguardo al rispetto del principio del ne bis in idem con riferimento alla possibilità di un doppio binario sanzionatorio per il medesimo tipo di illecito.

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