Spetta agli Stati decidere se il contratto che contiene clausole abusive deve essere nullo o se può essere annullata unicamente la clausola

Indicare in un contratto di credito al consumo un tasso di interesse annuo inferiore a quello effettivo è una pratica commerciale sleale perché ingannevole. Spetta, però, agli Stati decidere se la clausola abusiva comporta la nullità dell’intero contratto o unicamente della parte contraria ai diritti del consumatore. Lo ha detto la Corte di giustizia Ue nella sentenza depositata il 15 marzo (C-453/10, http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=120442&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=81377). E’ vero che la direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori recepita in Italia con Dlgs n. 52/1996, abrogato dal n. 206/2005, contenente il codice del consumo, punta a tutelare i consumatori parte debole del contratto, ma questo con l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio tra le parti. Dalla direttiva, quindi, non deriva un’automatica nullità dell’intero contratto anche perché la posizione del consumatore “non può essere presa in considerazione quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto”. Detto questo, però, la Corte ammette che gli Stati possano predisporre una maggiore tutela del consumatore e stabiliscano la nullità totale del contratto.

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