Steering Committee for Human Rights: proseguono i lavori per la qualificazione dei Paesi terzi sicuri

Sono passati oltre 25 anni dall’adozione della raccomandazione n. R(97)22 sulle linee guida per l’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro (raccomandazione). Lo Steering Committeee for Human Rights (CDDH) del Consiglio d’Europa ha così deciso di avviare i lavori per un aggiornamento anche con l’obiettivo di tenere conto sia della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, negli ultimi anni, si è pronunciata in diverse occasioni su tale nozione, sia di altri atti internazionali. In vista della preparazione di uno studio che dovrebbe essere adottato nel 2026, nel corso della riunione di marzo è stato presentato, un documento sul quale incentrare la discussione (CDDH_PTS(2025)03REV, CDDH Paesi sicuri). Dopo un’analisi degli atti internazionali come la Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiati e il Protocollo del 1967 che assicura il diritto di asilo, atti che non contengono una definizione di Paese terzo sicuro, il gruppo di lavoro ha approfondito il contenuto della raccomandazione del 1997, per poi esaminare la giurisprudenza di Strasburgo partendo dalla sentenza Ilias e Ahmed contro Ungheria del 21 novembre 2019 e dalla sentenza H.T. contro Germania e Grecia del 15 ottobre 2024. In relazione alla giurisprudenza lo Steering Committee è chiamato a verificare se le linee guida contenute nella raccomandazione richiedano un restyling con l’obiettivo di evitare automatismi che portino all’espulsione di richiedenti asilo che potrebbero incorrere in rischi di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Particolare attenzione dovrà essere rivolta agli accordi bilaterali e regionali come quello sostanzialmente contenuto nella Dichiarazione Ue-Turchia del 2016 e quello Regno Unito-Ruanda, che hanno portato a molte contestazioni da parte dei difensori dei diritti umani e anche, nel caso del Regno Unito a un intervento della Corte Suprema. In ogni caso, nel documento si prende atto delle differenti applicazioni da parte degli Stati come risulta anche dal rapporto dell’Assemblea parlamentare intitolato “Safe third countries for asylum seekers” e si sottolinea così la necessità di approfondimenti nelle successive riunioni. 

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