Sulla residenza abituale del minore nel contesto della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (ratificata dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64) è intervenuta la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 12035 depositata il 7 maggio con la quale è stato accolto il ricorso della madre di una bambina che contestava la decisione del tribunale per i minorenni di Venezia il quale aveva disposto il ritorno della figlia minorenne in Romania, come richiesto dal padre della bimba (sottrazione). La donna, separata dal marito rumeno, era tornata in Italia con la figlia per una visita al fratello, ma non era rientrata in Romania nel termine indicato. Così, l’ex marito aveva coinvolto l’Autorità centrale e il Tribunale aveva deciso l’immediato ritorno in Romania della minore ritenendo che in quel Paese vi fosse la sua residenza abituale. Nel suo ricorso alla Cassazione la madre della bambina sosteneva che i giudici non avevano proceduto a sentire la minore la quale non voleva rientrare in Romania e non avevano correttamente valutato l’effettiva residenza abituale.
La Suprema Corte, richiamata la precedente giurisprudenza con la quale è stato stabilito che il concetto di residenza abituale del minore è funzionale all’obiettivo perseguito dalla Convenzione che è il ripristino dello status quo ante del minore, ha precisato che la residenza abituale deve essere individuata tenendo conto di tutte le circostanze di fatto relative alla specifica situazione valutando sempre eventuali condizioni ostative al rientro. La verifica di condizioni ostative non è demandata solo alle autorità competenti dello Stato di residenza del minore, perché – chiarisce la Cassazione – “sono necessari ulteriori accertamenti (da svolgere anche mediante indagine tecnica) da parte del giudice italiano”. Ciò anche alla luce dell’articolo 13, lett. b della Convenzione dell’Aja in base al quale il ritorno va escluso se “sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”.
Inoltre, sia in base alla Convenzione sia in base ai regolamenti dell’Unione europea, con particolare riguardo al regolamento UE 2019/1111 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e sulla responsabilità genitoriale (Bruxelles II-ter), va considerato che la legge italiana, nel corso degli anni, ha dato rilievo all’ascolto dei minori. Il Tribunale di Venezia, per la Corte, non ha effettuato un esame accurato anche con riguardo alla circostanza che il padre lavorava in Danimarca e tornava in Romania, talvolta però non vedendo la minore. È mancato così un accertamento puntuale sull’effettivo “accudimento, morale e materiale, da parte del genitore che insiste per il rimpatrio del minore”. Così, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassato il decreto impugnato e rinviato la causa al Tribunale per i minorenni per un nuovo esame.
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