Stop alle leggi con effetti retroattivi adottate nel corso di processi

Un freno all’applicazione di leggi con effetti retroattivi, adottate mentre sono in corso processi. Lo chiede la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha depositato ieri una sentenza di condanna all’Italia (caso Azienda Agricola Silverfunghi e altri, CASE OF AZIENDA AGRICOLA SILVERFUNGHI S.A.S. AND OTHERS v. ITALY). Sono state quattro aziende agricole a chiamare in aiuto Strasburgo. Le aziende avevano ottenuto alcuni benefici consistenti in esenzioni (sgravi contributivi) e concessioni (fiscalizzazione degli oneri sociali) che comportavano una riduzione dei contributi da versare per i propri dipendenti. Tuttavia, con una circolare, l’Inps aveva precisato che i due benefici concessi erano alternativi e non cumulativi. Con un inevitabile danno per le aziende che per di più operavano in zone svantaggiate. Di qui il ricorso in sede giurisdizionale. In due gradi di giudizio le ricorrenti avevano avuto ragione, ma con legge n. 326/03 il legislatore era intervenuto precisando il carattere non cumulativo dei vantaggi. La Corte di cassazione aveva, quindi, accolto il ricorso dell’Inps tanto più che, a suo avviso, la legge adottata aveva un mero carattere interpretativo. Nessun problema, quindi, di applicazione retroattiva della legge. Una conclusione del tutto ribaltata a Strasburgo che ha bocciato l’applicazione della legge sopraggiunta mentre era in corso il processo. Tanto più – osserva la Corte – che non vi era alcuna ragione imperativa di interesse generale che imponesse, proprio in quel momento, l’adozione della legge che ha inciso in modo sostanziale sull’esito della controversia, modificando il risultato del procedimento. E questo malgrado le parti non avessero tentato di usare la legge in modo abusivo, approfittando delle lacune presenti nel quadro normativo. Di qui la constatazione di una violazione dell’articolo 6 della Convenzione che assicura il diritto all’equo processo e l’obbligo per lo Stato in causa di versare una somma complessiva pari a 248mila euro (da cui vanno dedotte le somme non ancora restituite all’Inps) a titolo di indennizzo, corrisposto perché il procedimento è stato iniquo. La Corte ha invece escluso una violazione del diritto di proprietà ossia dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 perché il danno economico non è stato eccessivo e le aziende hanno comunque potuto usufruire di almeno un beneficio.

 

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