Sulla nozione di genocidio interviene la Grande Camera

L’applicazione retroattiva di una norma del codice penale che include una nozione ampia di genocidio è contraria all’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che afferma il principio nulla poena sine lege tanto più se, all’epoca dei fatti contestati, anche nel diritto internazionale generale non si prevedeva che gli atti di genocidio comprendessero determinate azioni contro i membri di un gruppo politico e i partigiani non rientravano tra i gruppi che potevano essere considerati vittime di genocidio. E’ stata la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza depositata il 20 ottobre, nel caso Vasiliauskas contro Lithuania, ( CASE OF VASILIAUSKAS v. LITHUANIA) a cogliere l’occasione per delineare la nozione di genocidio tenendo conto delle regole pattizie, del diritto consuetudinario e della prassi di organi giurisdizionali internazionali come la Corte internazionale di giustizia, il Tribunale internazionale per l’ex Iugoslavia e quello per il Ruanda. A ricorrere a Strasburgo un ex ufficiale dei servizi di sicurezza lituani condannato per l’uccisione di alcuni partigiani che avevano cercato di resistere alle truppe sovietiche all’indomani della Seconda guerra mondiale. L’uomo era stato condannato per genocidio dopo la modifica del codice penale avvenuta nel 2003 per fatti risalenti al 1953. Un’applicazione retroattiva contraria alla Convenzione europea, ha stabilito Strasburgo. Per la Grande Camera, lo Stato in causa non ha neanche provato che la condanna era basata sulla nozione di genocidio affermata dal diritto internazionale esistente nel 1953, malgrado gli organi giurisdizionali nazionali avessero, in un secondo tempo, giustificato la condanna sostenendo che nel diritto internazionale, all’epoca dei fatti, si fosse affermata una nozione in base alla quale andavano protetti anche i rappresentanti di un gruppo politico e, quindi, i partigiani. Ed invero, a quell’epoca, tra i gruppi oggetto di tutela in base alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e al diritto consuetudinario non rientravano i gruppi politici mentre erano puniti atti come l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Di conseguenza, se è certo che il genocidio era già riconosciuto, nel 1953, come crimine secondo il diritto internazionale pattizio e consuetudinario è anche vero che non è sicuro che fossero oggetto di protezione anche gli appartenenti ai gruppi politici. Di qui la conclusione che vi è stata una violazione dell’articolo 7 della Convenzione e la condanna alla Lituania con l’obbligo di versare 10mila euro al ricorrente per danni patrimoniali.

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