Trasferimento di armi: aziende e Stati non valutano l’impatto sui diritti umani e sul diritto internazionale umanitario

Il commercio di armi prolifera anche a causa dell’alto numero di conflitti e gli Stati, così come le aziende, non fanno abbastanza per impedire che il trasferimento di armi abbia un effetto devastante sui diritti umani. Basti pensare che sia Stati sia privati hanno continuato a fornire armi in Myanmar, Israele, Sudan e Yemen, malgrado i rischi di contribuire così a gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

È l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, a scriverlo nel rapporto illustrato il 4 marzo (arms transfers) nel quale si sottolinea che, per ragioni politiche ed economiche, Stati e attori privati non considerano con la dovuta attenzione le regole esistenti anche perché le aziende non mettono in pratica adeguate politiche di due diligence soprattutto al fine di valutare l’impatto della vendita di armi sulla commissione di crimini internazionali. Il rapporto si è avvalso anche delle risposte fornite da Stati e di altri rilevanti stakeholders.

Nel documento si evidenzia la corruzione presente in questo campo, con riguardo a tutti i casi di trasferimento di armi, la mancanza di un’adeguata valutazione di impatto e l’assenza di indagini effettive per punire coloro che, nel fornire armi, contribuiscono alla commissione di crimini. Di qui la richiesta di un cambiamento che può prendere come riferimento anche alcune recenti sentenze di tribunali interni nei confronti di privati che hanno venduto armi senza considerare l’impatto sulle violazioni dei diritti umani, nonché alcune novità legislative in Francia e Norvegia che hanno introdotto norme interne per codificare gli obblighi di due diligence per le aziende che vendono armi. Il documento si chiude con alcune raccomandazioni per migliorare il quadro.

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